per Laura LATTUADA, Cecilia BERIOLI, Fabrizio DE ROSSI RE, Alessandra GENTILE
A – AMORE fenomeni di localizzazione e di collaudo della materia nuova teoria del tutto (Einstein) e teoria M (Witten)
adesso c’è questa cosa che chiamate “singolarità gentile”, un varco nella curvatura dello spaziotempo, il nucleo di un buco nero non particolarmente aggressivo, attraverso il quale si accede a una nuova dimensione, dove tutto accade contemporaneamente.
non è un bordo, non è una soglia esatta.
è come nell’amore, quando il suo frutto miracolosamente arriva a maturazione: semplicemente vi allontanate dal magnetismo di una persona, dalla sua sfera d’influenza sulla vostra vita – per fare da soli.
quella che all’apparenza è una separazione, diventa una tensione elettrica tra universi.
siete usciti dall’indifferenziato, siete vivi. comprendete il canto dell’universo:
misurando la differenza tra lo splendore assoluto che ho visto venire da te e il tuo splendore attuale, posso risalire alla tua distanza da me, secondo la bellissima equazione formulata da Henrietta Swan Leavitt
MV = − 2.87logP − 1.40
dove MV è la magnitudine assoluta, e P il periodo della variazione.
confrontando la magnitudine assoluta M delle stelle variabili e la durata, il periodo P della loro variazione, Henrietta Swan Leavitt sviluppò le scoperte spettrografiche della collega astronoma Antonia Maury e misurò le distanze delle galassie.
ora sappiamo quanto siamo lontani. ora sappiamo quanto siamo vicini.
a Henrietta sono stati dedicati: un asteroide, 5383 Leavitt – e un cratere lunare.
quattro anni dopo la morte di lei, il matematico svedese Gösta Mittag-Leffler, manifestando un empito pindarico prossimo a quello di un poeta, propose Henrietta per il premio Nobel.
tuttavia, il ben più avveduto comitato preposto all’assegnazione del premio, dové riflettere a fondo sul fatto che essere una salma renda difficoltoso dirigersi a Stoccolma in data prestabilita.
in verità, siamo propensi a credere che, una volta ricevuta sepoltura, non risulti dignitoso recarsi in alcun dove sulla terra.
le menti più illuminate della terra si saranno anche chieste come la sunnominata Henrietta avrebbe potuto mantenere a lungo la posizione verticale che qualunque creatura di buon senso avrebbe ritenuto la più consona al pronunciamento di un intellegibile e circostanziato discorso di ringraziamento.
dunque, prevalendo in ciascuno il maggior bene etico ed estetico
e al prioritario fine di non mandare deserta la festa, a Henrietta non venne fatto vincere alcunché.
[musica, musica!]
G – GIOIA
tutta la vita è stata un esercizio per tornare al tuo corpo caldo come la terra
adesso c’è una gioia. una gioia seria, terrestre, profonda, fatta di corpo che chiede corpo. fatta di corpo che risponde a corpo. fatta di corpo che dice, con tutto il corpo: da GIARDINO DELLA GIOIA, Maria Grazia Calandrone volevo scrivere della gioia l’odore del tuo fiato nel cuore dell’estate il morso leggero dei tuoi denti proprio all’orlo la luce della luna getta nelle pozzanghere il bianco degli astri
* soprattutto al mattino sfolgoravi alla luce come acqua gettata sulle braci la tua voce era nuda come acqua
* lasciavi entrare tutto nella viva pasta di pane del tuo corpo la volta carica di stelle e i musi delle bestie echeggiavano nel tuo lievito madre eri felice
* guardami sono la via per l’oro delle galassie sono pane deposto ai tuoi piedi dopo il primo raccolto del creato
* canto il vento sottile che non sentiamo e spira nella distanza tra le stelle canto il nostro stendardo che schioccava nel vivo della menta romana canto il letto di foglie e il guscio candido della ninfea e canto l’oro crudo dei tuoi occhi semplici e trasparenti come un sì
* l’ombra semplice del corpo in amore l’oscillazione dei monili sul collo e lo smalto dei denti sfolgora, nudo la tua lingua s’impunta chiara fra le labbra scure
* con i capelli neri come grano, tesa all’infiorescenza come l’agave, eri così più alta di te stessa, più alta della tua vita
*
abbiamo concimato la terra con il sale dei corpi il cinabro del cielo si mescolava all’olio delle pozzanghere e all’oro della luce sul tuo labbro il tuo corpo sull’erba fluorescente del mattino la camera inondata da un floema di luce e il gorgo sul panneggio, verde brillante sopra il legno chiaro bevi quest’oro che non sa morire
[...]
P – PARADISO
ma tu te lo ricordi il paradiso? quando eravamo alberi, animali, case di pura pietra e tutto era connesso e compresente e noi eravamo connessi e compresenti semplici. disarmati. elementari. offerti. perfetti. inesistenti te lo ricordi quando mi hai raccolta fra le tue braccia? te lo ricordi? quando fra le tue braccia io svanivo – e tu, tu diventavi grande come il mondo. così perduti, così non più finiti. oh sì!, te lo ricordi grazie al tuo corpo stupefacente, che aveva la sincerità di un altare e che sembrava non finire mai. grazie al tuo odore di casa, di fieno e di bambini. grazie ai tuoi baci, così puliti e veri, che sono stati il mio battesimo e grazie al caldo umano delle tue braccia, che riparava la vita fino alle origini – e avanti, avanti: le tue braccia rendevano irrisoria la morte. grazie al tuo sguardo fisso in tutte le lacrime mai versate, che arrivava a toccarmi qui, guarda, dove adesso mi tocca questa musica – e alcune, rare, parole di poeti. ma questo lo sai. io non ero mai stata così nuda davanti a niente, così vicina a niente. nel tuo corpo non ero più miseria, né circostanza. non ero nostalgia. ero presente. ero bellezza. e tu, eri radiazione. grazia, inattesa. il tuo corpo era la gratuità del mondo allora, ho consegnato alle tue braccia tutto il mio essere nel tempo, il mio essere stata e il mio non essere mai stata, mai. tutto il mio avere desiderato in silenzio.
questo io, tanto solo e disumano, ha osato chiedere, ha desiderato
essere il tuo scheletro, essere ogni mucosa del tuo corpo e ogni suono infantile che era rimasto vivo nel tuo corpo, lampo di gioia nelle tue ossa, scarica elettrostatica dei muscoli, casa di pietra e cielo, fra le tue braccia dalla tua bocca usciva un fiume d’oro, parole pari a “vaghe stelle dell’orsa”. eri il luogo perfetto da abitare
eravamo la casa di tutti. questa animacorpo in espansione che abbiamo edificato, questo assoluto, generato dall’assenza di spazio fra i nostri corpi – quest’unico sistema circolatorio – ora ruota, sospeso
da qualche parte, lo senti, e fa ancora del bene.
adesso c’è questa zona, questa immensa voragine nello spazio. un vuoto. una macchia oscura nel cielo. 900 milioni di anni luce di diametro di nulla. l’ha individuata il telescopio Wmap (Wilkinson Microwave Anisotopy Probe). da quella zona non proviene alcun segnale. un’interruzione nella radiazione cosmica di fondo. un vuoto di materia. una macchia fredda. nulla.
adesso c’è questa cosmologa albanese, Laura Mersini, che l’ha riempita con la sua teoria. c’è una donna che dice che questo nulla possa essersi generato quando il nostro Universo si stava formando ed era in contatto con altri universi con diversi leggi fisiche.
dice proprio così: “è l’impronta indelebile di un altro universo che sta oltre il nostro.” lei dice così. lei crede che il mondo non finisca con quello che vediamo.