a che serve la poesia (Zest, 28.4.16)
intervista di Alessandro Canzian per Zest – Letteratura Sostenibile 28 aprile 2016 1) Come definiresti la Poesia? A cosa serve? A che serve la poesia dovremmo chiederlo al/la primo/a Homo Sapiens che praticò un’incisione su una parete di roccia. Perché lo fai? Sì, dico a te, non mi guardare male. Che stai facendo? Vuoi testimoniare? E perché? A chi? Per chi? Sta piovendo, hai finito di mangiare, ti annoi, pensi ai tuoi figli, vuoi corteggiare qualcuno? Lo fai, probabilmente, perché hai visto qualcosa di bello (di utile e di bello, spesso le due cose coincidono e incidono su quell’unico impasto psicofisico che siamo), non contieni l’emozione della bellezza osservata e il sovrappiù, l’eccedenza di questa emozione, diventa l’energia che spinge la tua mano a fare questa cosa così inutile che chiameranno arte. Un domani, poesia. Ma l’emozione non basta. Per compiere continuativamente il gesto della poesia, dunque per essere poeti, ci vuole il sentimento, dobbiamo essere in grado di sopportare quella cosa profonda e sconvolgente, devastante o esaltante, che chiamiamo “sentimento”. La poesia (con la minuscola), nella sua specifica fattispecie di arte fatta con strumenti di uso comune, non serve a niente, come ho più volte scritto e come dico da un pezzo agli studenti che mi rivolgono questa domanda, con toni provocatori, o sinceramente stupiti, o destabilizzati: la poesia, perché? Perché, appunto, non serve. La poesia esprime il superfluo per eccellenza: a differenza delle altre arti, che almeno fanno uso di mezzi e strumenti per utilizzare i quali occorre dimostrare una certa perizia tecnica e/o abilità manuale, la poesia si serve di oggetti di uso quotidiano e comune (le parole), per originare bellezza. Ed è proprio questo suo sommo non servire a decretarne il valore. Suo e di tutte le arti, inclusa la semplice contemplazione della bellezza, alla quale l’essere umano è incline, come forse alcuni altri animali – e la riproduzione della bellezza, alla quale solo l’essere umano, fra tutti gli animali, sembra essere incline. Gli altri animali, infatti, cantano o decorano il nido a scopo riproduttivo. Noi, solo talvolta. Per il resto, scriviamo senza scopo. E senza vittoria.
La mia poesia è dedica. Nient’altro. Anche quando è testimonianza, è dedica.
Sono sempre più convinta che fare poesia significhi per prima cosa lavorare sul proprio essere umano. Anzi, meglio: sul proprio essere umani. La scrittura, per chi vi è incline, è un potentissimo strumento di conoscenza. Occorre non accontentarsi delle mete raggiunte. Non ce ne facciamo niente, della letteratura: se io leggo un poeta non m’interessa ammirare la sua perizia tecnica, m’interessa sentire nelle sue parole l’evocazione di uno stato di cose originario e perduto, m’interessa che le sue parole mi riconducano a qualcosa che so, ma che non ricordavo di sapere. La bellezza è la maschera della nostalgia. Perché, al fondo della bellezza (e dell’amore), c’è la memoria di qualcosa che abbiamo perduto, chissà dove e quando – e la bellezza, per il tempo che dura, acuisce e lenisce nello stesso tempo la ferita di quella perdita. Per questo è insopportabile. Per questo serve.
da Gli Scomparsi (di prossima pubblicazione per LietoColle pordenonelegge) Antonio Invece quella notte sembra che abbia dormito |
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