Michele Paoletti intervista MGC (25.11.17)
In questi tre testi lo sguardo di Maria Grazia Calandrone si posa sulla natura e sull’essere umano in un percorso fatto di echi e di intrecci. I versi raccontano in maniera quasi chirurgica la composizione degli alberi, loro anelli dorsali, il clamore degli stami, le processioni […] di corolle e fiaccole / di stimme nel nettario; tuttavia non c’è freddezza da laboratorio nelle parole usate bensì un calore vivo e pulsante e un invito: spogliarsi del nostro ruminare notturno nella morchia dell’anima per ritornare ad uno stadio fatto di istinto e di materia, indispensabile per entrare in contatto con queste perfette macchine da fiore. Nel secondo testo è ancora più evidente l’intento chirurgico dei versi, la descrizione di elementi anatomici ben precisi; ma si tratta anche in questo caso di una sorta di anatomia amorosa: il sentimento trabocca e oscilla tra due evidenze: l’inevitabile fine che aspetta ogni essere umano per estinzione deliberata del battito cardiaco e l’urgenza costante di aver cura della sua meraviglia e della sua ferocia. 1. Cos’è il bene morale che dà il titolo alla raccolta? Il bene morale è quello che dovremmo portare gli uni agli altri: un bene etico, responsabile. Dieci anni fa ho intitolato un altro mio libro La macchina responsabile. Come tutti, ho le mie ossessioni: una tra le più radicate è la responsabilità dei nostri sentimenti, l’attenzione che dobbiamo al bene che proviamo e facciamo. Tradire o, peggio, rinnegare quello che abbiamo amato, oltre al male che arreca, ha la imprudente conseguenza di tradire noi stessi. Questo, per quel che concerne i micromondi privati. Ma l’etica del bene, nel libro, è ovviamente estesa alla storia, poiché la storia è agita da individui che, sommandosi uno all’altro, formano i popoli: scrivo dunque di Shoah, del Vajont, della Shoah contemporanea dei migranti e di singoli eventi come la misteriosa morte di Marilyn Monroe o il conflitto interiore di un padre indiano, cui è nata una figlia con otto arti – e tutto ciò a contrasto con un controcanto leggerissimo, infantile, che rappresenta la gioia alla quale abbiamo diritto, semplicemente per nascita. 2. Recentemente in una puntata di Qui Comincia (programma radiofonico in onda su Radio Tre il sabato e la domenica alle 6.00) ha parlato del concetto di gioia in poesia ed in questi testi, così come nelle sue raccolte poetiche precedenti, sono presenti numerose forme di gioia da quella amorosa al sentimento bruciante provato di fronte all’apparizione della bellezza del mondo. Perché è così importante per lei approfondire questo concetto attraverso i suoi versi? Credo che il compito della poesia sia indicare la bellezza del mondo, insistere affinché ci accorgiamo del tesoro che significa essere vivi. Faccio un esempio concreto: in un ciclo di videointerviste pubblicate da “Corriere Tv”, che ho dedicato ai volontari di “Baobab Experience” (gruppo di prima accoglienza ai migranti), ho ripetutamente chiesto come mai gli ospiti, che hanno subito torture e ingiustizie per noi inimmaginabili e che vivono in accampamenti provvisori in non-luoghi extraurbani, affidati alla “compassione” (in senso etimologico) degli altri, sembrino felici, giochino a pallone, siano sempre cordiali. La risposta di Sonia Manzi è stata: “Perché sanno accogliere il poco che ricevono, come noi non siamo più capaci di fare”. Questo è tutto. Non accorgerci del bene che abbiamo è un insulto, appunto, morale. 3. Il suo sguardo in questi testi è sempre proiettato all’esterno, verso una natura traboccante di vita, lungo il corpo di una persona amata, sul paesaggio circostante. Il poeta dovrebbe essere un tramite per raccontare la bellezza del mondo senza cedere alla tentazione di ripiegarsi su se stesso? Credo di aver già risposto. Inoltre, le poesie che parlano dei propri autori mi annoiano a morte, se hanno quel sentore di aria chiusa dell’io e gli autori non usano se stessi come un qualunque strumento simbolico, una chiave universale (pensiamo a Caproni). I poeti non hanno nulla di speciale, se non una feroce curiosità analitica (pensiamo alle scomodissime domande di Pasolini in Comizi d’amore) e la parola. E, poiché la parola è uno strumento potentissimo, è necessario utilizzarla in forma rivoluzionaria, se vogliamo contribuire alla costruzione del nido del mondo con la nostra pagliuzza. Come scriveva Robert Musil: “Estrai il senso da tutte le opere poetiche e ne ricaverai una smentita interminabile – di tutte le norme, le regole e i principi vigenti sui quali posa la società che ama tali poesie! Una poesia col suo mistero trafigge il senso del mondo… Se questo, com’è costume, si chiama bellezza, allora la bellezza dovrebbe essere uno sconvolgimento mille volte più crudele e spietato di qualunque rivoluzione politica!” Musil scrive che la poesia trafigge “il senso del mondo”, non il senso della nostra persona (avviene anche quello, ma come conseguenza secondaria) e lascia intendere che il senso del mondo sia la sua bellezza, e che questa bellezza sia sconvolgente ed eversiva. E quindi, come potremmo contentarci di contemplare uno specchio? da Il bene morale - in uscita per Crocetti Alberi Essi hanno questo fiore dentro che comincia Roma, 23 marzo 2010 Roma, 10 settembre 2015 un paesaggio italiano |
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