Buia Elena (1.12)
![]() a cura di Maria Grazia Calandrone
su Poesia n. 267 - gennaio 2012
La vita quotidiana di persone e cose. Il tono colloquiale del testo. Tutto sembra perfettamente a posto, luminoso e ordinato come una camera da pranzo alla domenica mattina. Eppure, sotto questa superficie cristallina si scivola come sul sapone, per rimanere tra i materiali poveri di Elena Buia. Se ti chini un po’, trovi un iniziale disordine elementare: orde di tappi di pennarelli sparse sotto i tavoli. Per cominciare. Perché dopo ci sono alcune terga: schiene di figli da riparare dal vento e la schiena della stessa autrice, che contiene la base di lancio, il principio del volo di una farfalla. Dopo, viene la morte. Quella di un pesce rosso, prima, una piccola cosa muta e arresa. Ma infine tutta la morte, onnipresente e stranamente luminosa. È su questa “luce comunque” che la poesia di Buia (!) ci invita a riflettere. Anzi, a rifletterci. Non c’è traccia di oscurità nello sguardo di quelli che qui conoscono della morte, che rimane un fenomeno osservato dalla parte della vita e con una calma estrema e profonda. Non rassegnazione: calma. Anche la sua definizione diretta include infatti un gravido ventre. Chi scrive è completamente immersa nel flusso della vita e il pensiero le corre all’indietro – verso un quanto impercettibile tradimento materno – ma soprattutto avanti, dentro una proiezione di sé nei figli, che correranno il mondo prima o poi come orfani ed è una disgrazia presente non poterli proteggere domani dalla loro paura di morire: dopo, quando il tempo li avrà fatti tremare. E nemmeno sappiamo che eredità lasceremo con questo amore in rima dissennata, ferino e feroce, amore con gli artigli / conficcati / fino all’ultimo respiro / nella parola / figli. Strano che, nel contesto tanto luminoso qui rappresentato, questo amore materno sia legato al respiro del corpo e sembri dunque destinato a smettere quando smetterà il corpo. Credo avvenga perché, più l’amore e la sua volontà di premura, la sua responsabilità intera, vorrebbero straripare da questa umana demarcazione di carne, tanto più sbattiamo contro il limite amaro del corpo, picchiamo la testa dal di dentro sul costato come rondini finite in una stanza per una finestra che non trovano più o che il vento, inaddomesticabile per sua natura, ha richiuso. Solo questa dannata finitudine, che verrà a interrompere una durata che si vorrebbe lunga almeno quando la vostra vita, perché non siate mai soli. Per lasciarvi restare come icone nella risplendente gratuità di testi come Splendida giornata, quando il mondo si inchina attraverso i suoi elementi verso di noi e noi pieni di grazia gli restituiamo l’inchino e la lauda, questa semplice lauda di parole. Link
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