Maria Grazia Calandrone, che sa spaziare dalla cronaca della Thyssen all'epicedio classico (Valerio Magrelli su “la Repubblica”, 23.2.2011) parlano Piero Barbetta e Antonio Boccuzzi, superstiti Nella notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007 nelle acciaierie della Thyssen Krupp di Corso Regina Margherita a Torino una briglia della spianatrice è uscita silenziosamente dal suo binario producendo attrito contro la carpenteria metallica. La scintilla che immediatamente ne è derivata ha incendiato l’olio di scarto, che normalmente trasuda dalle lamiere. Avvertiti da un collega, gli operai che montavano il turno di notte alla linea 5 di ricottura sono usciti correndo dalla sala controllo, detta pulpito principale, con l’intenzione di estinguere rapidamente il focolaio, ma hanno trovato gli estintori quasi scarichi. Intanto i tubi portanti dell’olio ad altissima pressione, non reggendo al protrarsi del calore, sono esplosi, producendo le imponenti onde di fuoco che hanno portato a morte 7 dei 9 operai presenti. Le onde di fuoco derivarono dalla istantanea combustione dell’olio nebulizzato: l’aria stessa era fuoco e cadevano attrezzature in fiamme dai carri-ponte corpi cadevano come mandorle amare, corpi-spugne di acido cianidrico che veniva assorbito dalla pelle: ognuno dei miei compagni indossava un sudario di sangue arso, metri quadri di carne vistosa, crepacci di carbone nella muscolatura del torace e il camice di tutta la lontananza li velava: i miei compagni, una volta incapsulati nel baccello di fuoco – nel cavernoso raschio del fuoco – diventavano cose arse e identiche, sovraumani costumi di legno morto. I miei compagni erano rivestiti dalla siccità del male. Ognuno urlava dal suo astuccio di veleni. Mentre spegnevo quello che restava di lui, lui mi gridava Piero come sono in faccia. Io lo riconoscevo dalla voce poi ho alzato la coperta che gli avevano messo sulla testa e non era rimasto più niente di lui se non carne indifesa se non voce, la sovraumana carità del legno. Roma, 23 dicembre 2010
La poesia di Maria Grazia Calandrone possiede una grande forza “primordiale”, generata dall’incontro tra la potenza visionaria che rielabora la percezione e la restituisce attraverso il filtro di un immaginario che trascende il dato oggettivo, con un equilibrio formale che, sia nel verso breve che nelle colate laviche del verso lumgo, riesce a convogliare l’energia in un flusso che trascina evitando la dispersione.
Dall’osservazione del reale, che richiama l’esperienza individuale e il sepolto della memoria, la Calandrone crea scenari talvolta surreali, in cui la realtà è come filtrata da una percezione onirica che la rende indistinta, a tratti immersa in un’atmosfera “apocalittica”, che trascende il dato stesso, rendendolo universale: “Al centro dei miei occhi lei batteva la luce e si torceva / nella demolizione colossale / poi vidi un uomo perdere la presa / come uno di quei seri colpi di vento / che stabilizzano la radicalizzazione dell’albero”.
Il verso di Maria Grazia Calandrone procede per progressiva accumulazione d’immagini e intensificazione di sensazioni, e spesso, come nel primo inedito, la realtà del quotidiano e l’esperienza individuale vengono elevate al sacro, o piuttosto è il riferimento all’elemento religioso che ne evidenzia una sacralità tutta contingente, in cui il martirio è attraversato nell’amore “[…] solido e bianco / come un sasso” e “ti amo” è detto “come una parola / detta in punto di morte”, come un’estrema preghiera di chi nel qui e ora cerca l’assoluto che eleva.
Da questo deriva la tensione che permea la poesia di Maria Grazia Calandrone, quella densità d’immagine che quasi stordisce, che, come per una reazione a catena, richiama nel lettore le immagini del proprio stesso rimosso, perché le suggestioni dettate, anzi, sferrate dalla poetessa sono materia metamorfica e cangiante, suscettibile di essere ri-plasmata da chi l’abbraccia e la sente riardere tra le mani che non sanno circoscriverla, comprenderla se non nella distanza.
Chiara De Luca
NON SIA ESPOSTO IL SEGRETO CHE BRUCIA NELL’URNA DEL CUORE Con il tempo avrebbero trovato il modo – e dietro si sarebbe sentito il cinguettare di tutta la primavera, la spiga del cuore che saliva estiva come un dettaglio piccolo e bellissimo fra statue d'oro cresciute intorno alle parole formate nel cielo dagli sciami – ma così sia, l'evidenza del corpo. 1. Dove l'amore appare sotto forma di crudele obbedienza Macchinazione a sangue (sangue) sull'ala come la parte terminale di un albero. Lei cammina nell’ultima prova con invisibili imbastiture di cenere sulla bocca. Tutto questo mio corpo preferirebbe morire anzi che lasciare tutta la dottrina fuoriuscire così rotta in lamenti. Le braccia sono l’apice del fiore, tengono fermo lo sciame. 2. Sfondo con palazzi Gli uccelli non potevano afferrarsi per le grandi scosse del vento ai rami, cercavano impalcature, crepe dato che il cuore non rimarginava 3. Dove Maria ha la lingua tagliata e sembra proclamare in ginocchio il suo martirio Io lo sapevo a cosa andavo incontro. Evanescenza dei lapidari. Carie del marmo. Muschio freddo nell’orbita che da viva lo sai con quale amore. Morsicatura delle larve eppure silenzio dello sciame che si addensa come una lacuna di sole tra i muri divisi dall’ingombro della terra. Come possiamo ancora camminare – un candore, una interrogazione – oltre il caldo della lacrimazione: chiodi neri nei polsi che tengono elevata la reliquia di un vivo. 4. Ecco la rinnegata e la incrollabile Vengo ad attraversare il mio dolore davanti a te: sono quella che passa nel fuoco, la flagellata e la pur sempre amante, la programmata per transitare in quello che non conta, nel suo proprio dolore quando tutto il calore del mio cuore ritorna al mio cuore e mette tra le piaghe lame dolci di chiaroveggenza, la distanza stellata delle anime dimenticate nei corpi come piccoli campi di luce. 5. Fatti meno solubile della pietra Non bisognava trattenerli mentre in laghi di luce passavano e dicevano solo buona giornata maria e maria recintata dalle rose non parlava stava ferma su una pietra come un'agnella o il pentagono di una stella – è lo stesso, contava solo che fosse soavemente. 6. Un addio che chiedeva la sua altezza Io di marmo io statua e progetto neutrale della natura la migrazione in massa secondo luce di una fusoliera metallica corruzione animale che appena agita le braccia.
7. Martirio breve di Maria ovvero detto del cuore su se stesso Lei lapidata dal suo stesso amore – solido e bianco come un sasso – dice ti amo come una parola detta in punto di morte. 8. Dove non è negata la perdita Gli angeli sono soli sulla terra sono i sassi trasportati dai vermi nella bocca dei due trovati vicini nel capanno ma soli come sono soli gli angeli ma senza più dolore – senza aspettare più, liberi dall'attesa. Roma, 29 novembre 2007
ta la specie umana. Da cui nessuna immemore Euridice verrà mai riportata in vita, nemmeno quella di Rilke, di Orpheus. Eurydike. Hermes, già disfatta dal suo Orfeo, e che "Come una lunga chioma era già sciolta, / come pioggia caduta era diffusa, / come un raccolto in mille era divisa. // Ormai era radice". Ogni cosa ormai è compiuta. E ciò vuol dire, anche, che tutto è ancora da compiere definitivamente.
Estratti
VII Presidiare il mare Dagli operai sentiamo dire di un’ala della sua polvere andata lungo la corrente ascensionale del mondo. Occasione di disinganno: lo scudo lustro del mare non restituisce la scansione di una spalla natante nella spallina del costume – il mare – rauca incostanza, pianura piena di abbandono e voli – di soli aquiloni – lungo il margine dell’ara terrestre. Ahi, quanto amara assiduità di sale a rompersi e seccarsi – fingersi terra di sepoltura. Spiaggia più che deserta: popolata da cani di naviganti, noi. L’arruffìo del fogliame nel disgelo su un pianale di prede lunari al freddo senza scompiglio di un’alba dal vento contratto sulle palpebre come uno spago. O negligenza a lacrimare del sangue assorto nei tessuti sotto il commercio dei nostri occhi critici e umani: coperti da visiere, e frange: senza confidenza. Seppellimenti alti come giardini di sangue combusto – a contatto con una imperdonabile morìa, con uno spargimento morfologico che modifica e incalza lo stato sotterraneo. Lo spiegamento di forze all’apparire del chiaro Gli alberi occupano l'aurora della famiglia. L'animale è una massa di attenzione, la musica che sale dai gomiti appoggiati alla terra. La campagna, quel grumo essenziale di rondoni e polvere serena, è ora tavola, macero e orinatoio, principio attivo dell’anima. Lei trasformata dalla scoperta che l’amore vibrava come un timpano d’acqua dalla base del tempo. Lo rivelano le tracce ritrovate successivamente in mare – sulla città di pietra degli scogli e l’impronta caucasica della scomparsa. Mamma – mi sento come se volassi – davanti a queste statue che ti somigliano. Indagine della sbordatura plantare, la luce – poco incline – sulla spalla: rosa vinosa d'alba fiorentina. Non mi hanno ridato l’impermeabile che avevo offerto per coprire il suo eccesso di opacità. Domando cosa non l'abbia fatta risplendere: il mio corpo da latte era carico di misericordia. Sovrastate – restituite allo stato di cose le sue ossa dolevano grandiosamente, mute come respira muto dalle origini il neutro. 17 febbraio 2004