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La scimmia randagia (Crocetti, 2003)

Editore: Crocetti Editore
Collana: Neòteroi
Data uscita: 2004
Pagine: 154
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8883061020
ISBN-13: 9788883061028
Listino: € 14,80
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 finalista Premi Dessì, Lorenzo Montano e Torri di Quartesolo
 
 

L’orto è dove si nasce
 
                                                                                                        … io sono straniero  e povero.  E passerò;    
                                                                                               ma nelle tue mani  deve restare tutto ciò che un 
                                                                                               tempo,  se fossi  stato più forte,  sarebbe potuto
                                                                                                                                     diventare la mia patria.
                      
                                                                                                                                            Rainer Maria Rilke
 
E’ luce quasi solida quella che medita e si articola in basso lungo gli snodi glabri e superficiali del vigoroso
deliberare radicale sotto i campi
visibili e invisibili, sotto la capriola dei bambini
che raggiunge dio in petto come un sobbalzo
e un rimpianto
di quando anch’egli fu umano
e piccolo, perfetto
come struggente e perfetto è quello che deve finire e con poveri mezzi
inutilmente tentiamo
di conservare – fingendo
di ignorare che infinita è la perdita e infinito      
rende quello che tocca.
 
introduzione alla felicità
 
Ora abbandona le mie parole, abbandonami lentamente
in un rumore umano di martelli
che quasi culla il mio sonno. Credi alla maggioranza del corpo
e ai galli rochi della campagna. Forse
amerai come me il sole a perpendicolo sui campi, quel bollore di terra
che sembra un corpo che ama, e crederai alla schiena impietosita di un uomo
che però scampa al suo destino.
Credi alla prosa calda e senza civetteria
degli acquedotti, alla masserizia macroscopica del bagliore del mare
sulle credenze colme
di tazze inglesi
e tovaglie, credi a quello a cui io non ho creduto, anche mentre addormentavo
il tuo piccolo corpo onnipotente
che inverava il mio corpo
disarmato dal tempo. Sei il solo ospite di sangue
di una creatura senza stirpe. Domanda dunque
alle conifere, alla presa pigra e ostinata delle tue dita
nella scarpetta di gomma, domanda alla realtà – a un sestante
di argilla – il giusto
o l’umano
tra i filamenti del mattino, la nostra data di deposizione: quello che si dimenticherà
di noi, e quello che dimenticheremo, annientati e contigui. Il resto
avviene nel buio
di un mondo nostro senza più abbandono.

 

Estratti critici

Maria Grazia Calandrone, La scimmia randagia (2003) Epica e politica, assoluta e senza assoluzione, teatrale e combattiva, offesa e inoffensiva, la poesia della Calandrone nasce per essere detta, è dettato che si fa atto. Ne filai gli esordi, ricordo, all’inizio del millennio, che restano ancora statuari. “E la parte arcaica del cervello intravede/ nuvole in cielo cattive e poi copre il tuo volto nel crematorio bianco.// File di pioppi nel silenzio atomico. Dalla disadorna anemia delle erbe/ sale il Te Deum, la lode”.

[…] La scimmia randagia, “interamente dedicato” al figlioletto Arturo, è uno dei libri più suggestivi che io abbia incontrato di questi tempi, folto e ricco, mosso da una scansione o meglio palpitazione interna al verso libero di cui l’autrice, oggi alla soglia dei quarant’anni, si avvale con bravura. L’estro della combinazione analogica è sovrano, può iterarsi e moltiplicarsi inesauribilmente, ma non per gioco, se le ‘cose’ dette in queste pagine hanno rintocchi intensi, spesso provocatori. Mentre descrive e circoscrive, la parola spazia oltre, fruga dietro, scava sotto ciò che appare. 
Silvio Ramat, “Poesia” (Crocetti, febbraio 2004)

 

La vena onirico – riflessiva della Calandrone è talmente travolgente da rischiare di irritare il suo lettore che non riesce a salvare dal flusso inarrestabile della corrente le straordinarie intuizioni liriche, le folgoranti massime morali e, soprattutto, l’inebriante frutto di quell’esaltazione mitico-panica in cui l’intera vicenda della gestazione del Figlio Voluto è innalzata fino a gareggiare con l’impeto della ricreazione dell’universo. E il canto, ora intonato nella piena voce dell’inno, ora abbassato negli struggenti rimandi alla morte di un’altra perduta madre che fa da tacito contraltare al miracolo della nascita, fonda un ardimentoso “controtempo” che, aldilà di ogni verbosità ed eloquenza, espande “la latenza di un generare immenso” in una dilatazione che travalica ogni misura, mescola prosa e verso in uno “strumento di chiarore” di grande suggestione e novità. 
Biancamaria Frabotta, “Poeti e poesia” (Pagine, maggio 2004)

[…] Ecco, quando senti questa cosa premere, strizzare il gozzo, è per me il chiaro indizio che mi trovo di fronte a qualcosa di potente, di desiderabile.

Questa forma in cui si stabilisce la poesia (parola che è sempre verticale, a perpendicolo arpionando il palato al detto) non chiede conferma o precisione nel comprendere, essa persuade, conquista, conduce nei suoi campi (parole dritte come i fusti linguacciuti dell’orzo): chiede aderenza piuttosto.
[…] la poesia della Calandrone diversamente dal ricercare e far conoscere la verità la crea, descrive con precisione questa sua verità che non è altro che essa. E proprio questa, nuda, dona un fascino di “mete lontane” a cui non possiamo sottrarci, appesi come bambocci alle sue parole filanti. 
Davide Brullo, “Il Domenicale”, 5 giugno 2004

[…] In questa linea rischiosa, renitente alla classificazione rigidamente formale, è Maria Grazia Calandrone, autrice del folgorante, splendido esordio intitolato La scimmia randagia (uscito per i tipi Crocetti): siamo di fronte a un libro di poesia formidabile, a un talento che bisogna seguire nei suoi esiti futuri, a partire da una premessa che è già una conclusione: l’esperienza poetica che esalta e trascina.

[…] la poesia di Maria Grazia Calandrone copre l’intero arco dell’espressione poetica italiana: l’espressionismo e il nitore, il prosastico e lo gnomico, il musicale e l’antimusicale, la distensione e la contrazione, il ruvido e il liscio, lo ctonio e l’apollineo. […] E’ questa la povertà rilkiana, è questo che si annida sotto il verde alla seconda di Zanzotto (“ma quanto verde sotto tutto questo verde”), o, per dirla direttamente con i versi di questa straordinaria poetessa, “acqua che non annega”, “il vuoto vento dell’io”.
Poesia che sarebbe da accogliere come renovatio delle folgoranti strutture di lingua e immagini delle Pitiche di Pindaro o, se si cerca un equivalente filosofico, della commutazione di sguardo secondo Plotino, i versi di Maria Grazia Calandrone regalano al panorama poetico italiano una protagonista fatta e finita, finalmente pronta a sfarsi e a finirsi. 
Giuseppe Genna, “I Miserabil1”, 23 agosto 2004

Maria Grazia Calandrone, che – alla raccolta d’esordio – sfodera un pathos oracolare e rapinosamente visionario, bruciati in lunghi versi fiammanti di un epos (di un eros) dylanthomasiano, e tentati non di rado dalle vertigini dell’astrazione. Se l’esperienza primaria è, anche qui, quella della perdita infinita, che «infinito / rende quello che tocca», la Calandrone non può fare a meno di contrapporre perentoriamente, a questo cattivo infinito, l’infinita energia della sua voce. Così facendo, partecipa – da dentro – alla continua catena di morti e rinascite di cui è tramata l’esistenza stessa dell’universo. […] sarà l’amore, l’apertura dell’amore, a sollevarci dalla nostra solitudine – e il futuro ci verrà incontro «inchiodato nell’azzurra testimonianza» dei suoi occhi. 

Stefano Lecchini, “Gazzetta di Parma”
 
Teatro del Lido, Ostia, 1.11.04 – con: Ivano Ferrari, Humberto Ak’abal, MGC, Mary B. Tolusso, Alberto Toni, Piera Degli Esposti, Fabrizia Ramondino, Gianni Borgna, Ariodante Marianni, Francesco Agresti, Martha Canfield, Dacia Maraini, Bianca Maria Frabotta, Alessio Brandolini
http://www.pasolini.net/premio-poesia-cinquina.htm

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