Bonnefoy Yves, intervista a (il Mattino, 28.10.11)
I poeti vanno felici dietro le parole perché sanno che le parole hanno più intelligenza di loro nel fiutare la strada della conoscenza. Oggi sappiamo dalle neuroscienze che il cervello dei poeti è fatto diversamente da quello dei non poeti, che l’uso della parola poetica sviluppa diverse sinapsi, dunque possiamo azzardare, sostenuti da un certo rigore scientifico, che nella mente di un poeta la realtà del mondo è differente, diremmo più filosoficamente “essenziale”. Per esempio Zanzotto, ancora ragazzo, cercava tra i suoi boschi le voci degli immortali. Quando scompare un poeta che porta nel mondo una grandezza originaria e originale come quella di Zanzotto io credo soffra la respirazione globale. Forse lo spegnersi della sua mente sulla terra ha la stessa importanza del disseccamento di una foresta, perché la mente di ogni poeta opera quella sua speciale sintesi analogica, la fulminea congiunzione di parti del mondo che prima di lui erano sconnesse o inimmaginabili insieme. Il pianeta pensato da Zanzotto muore con l’uomo Zanzotto. Cosa si secca, cosa si disunisce nell’anima grande di Bonnefoy e nell’anima mundi con la scomparsa di Andrea Zanzotto?
YB
Cominciamo da questa domanda, se non le dispiace, cara Maria Grazia, poiché siamo ancora scossi dall’annuncio della morte di Andrea Zanzotto. Gli avevo appena scritto per fargli gli auguri per il suo novantesimo compleanno, quando ho appreso la sua scomparsa. Sì, pensiamo a Zanzotto, prima di tutto, e al paragone da lei fatto fra la sua morte e il disseccamento di una foresta. E’ proprio vero che la poesia è ciò che porta ossigeno al linguaggio. Come gli alberi, essa attinge da un suolo diverso dalla parola quei principi sparsi la cui sintesi gli permetterà di sprigionarsi dalla profondità rianimata delle parole, facendoci respirare meglio, vivere meglio. Ma il punto sul quale non sono assolutamente d’accordo con lei è quello in cui dice che il cervello dei poeti è diverso da quello dei non poeti. Come si può immaginare un solo istante che la poesia sia l’esperienza soltanto di qualcuno? E come potrebbe la scienza verificare tale differenza nei cervelli, visto che non esiste alcun criterio per proporre una definizione rigorosa di ciò che sono i poeti? Se ce ne fosse uno, d’altronde, servirebbe per constatare, al contrario, che la poesia vuole dare alle parole la capacità di raggruppare tutti gli esseri, senza eccezione: e che riesce anche a farlo, almeno a volte. Qual è la prova? Il posto più importante rispetto al solito che spesso occupa in epoche in cui la società è in crisi. Vediamo come riesca a toccare, in questi anni difficili, gli animi di chi non se ne era mai interessato prima.
MGC
Napoli, città scoscesa, ventrale e verticale, ospita in una delle sue colline il grande sonno di due creature quasi disumane: il colombario con le ossa di Virgilio e il monumento sotto il quale è sepolto Leopardi, quasi che i due poeti debbano avere ancora premura per i traffici pagani del nostro nobilissimo sfacelo, siano stati posti come numi muti e potenti a tutela di noi. Lei ha composto Tomba di Leopardi, una dichiarazione di commossa gratitudine per la resurrezione a nome di tutti che Leopardi ha operato attraversando ogni sorta di oscurità con coraggio e fiducia nella parola e scovando per noi tanta luce lunare, tanta confidenza con una sorella celeste. Quanta importanza hanno per un poeta il desiderio e la speranza che Leopardi nel suo testo offre alla luna, disciolte nell’acqua umana?
YB
Eccomi nuovamente d’accordo con lei, cara Maria Grazia, nel suo evocare Napoli molto giustamente, come città di poesia. Venendo a Napoli, provo sempre emozione, poiché è per me la città che accoglie, dando loro riposo – e mostrando nella loro eternità – due fra i poeti maggiori che il mondo occidentale abbia mai avuto e che sono fra i miei preferiti: Virgilio e Leopardi. E per di più, è anche la città che un altro grande poeta, stavolta francese, Gérard de Nerval, ha amato appassionatamente, ponendo al centro delle sue “Chimere” Posillipo, nel luccichio dei suoi fuochi, la tomba Virgilio, e quel fiore che tanto piaceva al suo “cuore desolato”, come egli diceva, e al quale io penso con piacere per un istante: la ginestra, la stessa che fiorisce sulle pendici del Vesuvio nel grande poema leopardiano. Nerval non ha conosciuto Leopardi, ma avrebbe amato ne “La Ginestra” questa ostinazione della vita nel voler risorgere a tutti i costi, a dispetto dei disastri della storia umana che non avranno forse mai fine.
MGC
Napoli è di per sé metafora poetica: la città sotto è vuota; dalle sue viscere sono stati cavati gli elementi utili alla costruzione della città di sopra. Ma nei millenni la mancanza è divenuta anche protezione: catacomba e ricovero antiaereo. Le sembra corretto affermare, in parallelo con questa “architettura geologica”, che la poesia sia la concrezione luminosa e vitale di una cosa perduta, il lancio di un fatto morale al di là di una mancanza, una profondità bianca dove un vuoto – se non “il” vuoto – diventa luce e vita?
YB
Sì, noi amiamo di Napoli ben più della presenza di Virgilio, di Leopardi o di Nerval che si perpetuano; noi amiamo la città così com’è, con le sue sovrapposizioni di case, di monumenti, di quartieri, che assomigliano a quelli che s’incontrano nel profondo delle parole dei poemi. Ma che sono esattamente queste sovrapposizioni? Quali sono questi livelli della profondità, nell’invisibile? Sono forse le cave dalle quali hanno estratto le pietre di cui sono fatti i palazzi e le chiese? Ciò è in parte vero, vuol dire ricordarsi che la parola è stabilita al di sopra di un non-essere, quello della materia, che è estranea alle nostre vite, alle nostre aspirazioni. E’ la parola, dunque, la sola vera luce.
Ma io vedo anche altro nella verticalità di Napoli, le cui parti basse, più che il suolo originario della terra campana, sono quelle viuzze strette e tortuose nelle quali si perpetua fin dall’antichità un modo di essere impregnato d’immagini e di credenze di un paganesimo molto competente delle pulsioni più istintive della vita. Da questo punto di vista, il basamento di Napoli è l’inconscio, qui visibile, debordante su ogni altro livello dell’esistenza. Ciò che dà alla poesia, così come è rappresentata dai tre poeti, la sua vera dimensione: essi non sono stati grandi solo perché hanno ascoltato l’inconscio o si sono calati in quei sotterranei d’altro genere. Virgilio non è forse il poeta diurno che evoca la legge sociale nell’Eneide? Ma è anche quello che fa visita agli Dei infernali. “Ho attraversato due volte l’Acheronte vincitore”, ha scritto Nerval che era affascinato dalle immagini enigmatiche che gli archeologi del suo tempo portavano alla luce dagli scavi recenti di Pompei. Il passato, a Napoli, non sono le figure eroiche della storia sociale, come a Roma, o quelle dei grandi artisti, come a Firenze. Sono le vite nell’ombra, che nel labirinto dei vicoli si sono succedute anonimamente, preservando tuttavia, ognuna, tutta la complessità di desideri, d’intuizioni oscure, che sono il terreno necessario per qualsiasi ricerca di verità.
MGC
Napoli è una città continuamente interrotta. Niente in lei ha avuto uno sviluppo armonioso, tutto è sedimento, raschio vulcanico, sferzata e sterzo, le epoche si sono posate strato su strato sopra se stesse. Solo il richiamo dei morti è continuo: si sentono ruotare stormi di fantasmi nell’umido dei vichi. In questa sua apparenza di teatro solare ecco le strie delle apparizioni: qualcosa struscia sulla guancia, una bava di disperato amore, una solitudine incomprensibile ai vivi, che il cuore dei vivi nemmeno sfiora. Ci sono momenti nei quali per amore dei morti, per farsi loro vicini come fratelli di sangue, si scavalca la nostra finitudine?
YB
Lei mette l’accento sul “dark side”, sul lato buio dell’Italia, tanto spesso immaginata – da lontano – come una terra di sole, di ragione, di trasparenza. Per quanto mi riguarda, sono sempre stato colpito dalla presenza diffusa, in Italia, di un fondo di superstizione, di pratiche oscure, di violenza. Le immagini create dagli artisti sono state, nell’antichità, e sono nuovamente, dal Rinascimento a questa parte, un mero sforzo volto a chiarire, a dominare questo disordine; come per esempio fa Caravaggio, di cui a Napoli si conserva una tela straordinaria, le Sette Opere di Misericordia, così movimentate e inquiete. Da questo punto di vista Napoli è forse la città italiana per eccellenza. Quella che manifesta maggiormente le due intense postulazioni che dividono il paese: l’accoglienza di fantasie che nutrono l’inconscio e lo slancio verso le armonie silenziose del mondo intelligibile, sogno del Platonismo.
MGC
Napoli si apre tutta per festeggiarci e farci vivere il suo premio. Questa città non fa “letteratura”: prende i poeti e li spinge in luoghi come Nisida, li trascina all’opera, di fronte ai suoi bisogni, che sono i nostri (con tutta la modestia di questo noi), spiega sotto il nostro naso mappe e lezioni di compostaggio, apre porte che dividono zone limitrofe ma inavvicinabili, fa un uso pratico del corpo poetico e della poesia che non può che gratificare chi la scrive. So che lei intende la poesia non come mera estasi estetica ma come salutare sprone all’azione. Questa è la città del bivio per eccellenza, della vita e del suo rovescio mortale, della scissione topografica: dietro i cavalli monumentali e i colonnati di Piazza Plebiscito sta lo sciorinamento intimo e selvaggio dei quartieri spagnoli. Il portato ontologico della poesia può arrivare a calmare l’inquietudine di un bivio – anche politico – tanto profondo?
YB
Napoli mette i poeti al lavoro… E’ proprio vero. Chiede loro d’incontrare la società così com’è, di andare nelle prigioni, per esempio, di riconoscere la verità dei “quartieri spagnoli” che non si può ignorare. E ha ragione perché tutto ciò è salutare. La sua forte intenzione ci obbliga a capire che il futuro della società umana non sta nell’organizzazione politica di gruppi sociali astrattamente definiti, ma nella mescolanza poetica di voci oggi discordanti: approfondimento degli scambi tra esseri lasciati liberi di vivere completamente ciò che hanno dentro e che può avere un valore. Così come la parlata delle strade di Napoli, con la sua spontaneità, può essere più veritiera, ne sono certo, di qualunque filosofia.
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