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Tratti (Mobydick, estate 2006)

Non solo nel parlare e nel procreare
 
Ogni crepuscolo è il varo di un colosso di fuoco – una zuffa canina
sotto la croce bianca della sera, la chiara retta di sopraffazione
del mare appena congedato oltre il reticolato
ordine dei campi. Si stacca
dalla campagna congelata una campagna d’erba
sottoposta alla pena ultravioletta dell’altopiano e il volo
a intermittenza delle anatre
aggira blocchi
forza di soglia in soglia lo stridore
di voci umane.
 
Una iniezione di cemento nel vivo
dei vespai – un insieme anteriore
all’oro ascensionale dei platani
mischiato
alla maturità celeste.
 
Impalcature disarmate, scale
aggrappate alla casa come amanti
fatte marmo dal grande
silenzio con elementi di lavagna nera.
 
Lui composto in maniera cristiana sopra i letti di tutti
vita virata in forma di stanchezza
minerale, che ronzava e volava
sulla pista ciclabile fatto
di differenze pitagoriche e ingegno.
 
8 dicembre 2003

Reliquiario di foglie
 
Il treno, di taglio: una falce
d’intelligenza umana scorcia la campagna e la sua rappresentazione
fetale sotto la catena montuosa: una coppa
e una striscia di deserto dorato, di due – come ardessero trattenuti
adesso da uno stesso male, un sospiro.
 
Forme sdrucciole nella galleria: cenere fredda
intorno al treno, sul ghiaino ghiacciato
dei binari nella mucosa della sera: una quiete
apparente di impianto
abbandonato al secco degli ulivi, alla mascella del binario in una curva anatomica.
 
La campagna era ebbra e sfebbrata
da una bruma lunare che torceva i capelli.
La campagna era bruna, sferrata
dal volo degli uccelli
sottotetto: lucciolava, rideva. La luna faceva
brillare lo sterno dei santuari.
 
La mano immersa nella pioggia
è un imbuto celeste. L’appariscenza dei bambini riluce
nello schermo del vento con l’oro
del grammo di luce
nei loro occhi, col loro sgombro
farsi avanti come fragili esempi
dell’amore – data
la conservazione lentissima dell’essere umano nei raggi
e nelle città, fabriche d’anime e vertebra
dove soffia
la mischia di nevischio delle steppe.
 
11 dicembre 2003
 
Fine dell’interrogatorio
 
Il mare torna – così
bianco – nella fondina della terra:
un innesto socratico
l’indagine
di uno che sogna.
 
La immatricolazione della terra nell’acqua.
Nel cavalletto ornato e ancora lucido di tracimazione
della campagna preveniamo
la dimensione di altri corpi largamente
presenti e la scorribanda virale del sangue
in essi (una
elargizione intuitiva)
– la prima casa.
 
16 dicembre 2003
 
Le infezioni dell’acqua
 
I
 
La primavera ogni tanto si ammucchia tra le foglie
come inseguita da grandi felini, dai mosconi a rovescio sui quadrati calcarei dei sagrati oltre la scrittura e la terra.
 
L’oratorio infantile dei mosconi – il melodramma
ordinario del tramonto apre la carne del cielo – dimostra 
ogni giorno che ancora brucia di orgoglioso amore
l’ossatura infuocata di dio
versa il sangue di ogni creatura che collochiamo in alto nel deserto
pieno di antenne
estremità e radici dei nostri corpi
innamorati: feriti
da un nonnulla come il cielo che subito si oscura – trasparenti
come le tempie dei bambini – come la piegatura delle ali
nell’amministrazione della trasvolata notturna.
 
L’arcipelago altissimo del bosco, una stirpe accorpata
di bovini e nuvole. Il suo corpo impegnato
dalla umiltà limbica del bosco
la durezza senile dei musi dei cani sugli avambracci.
 
II
 
Puoi spremere la spugna del suo corpo: come nei cani il cuore
soffia
nella gabbia vicina alla terra. L’astro profondo batte
in un pozzo di visceri. Nel suo lungo silenzio telefonico
è l’impianto degli argini
irrigati. L’erba ingoiata a fiotti
dalle acque fluviali
ha lo sgomento dell’idra
lo innalza come un cigno nel maltempo.
 
Il fiume dà alla luce un corpo adulto e coperto di panni bianconeri. Ferma sensibile di transatlantico
nelle sue mani, dove il fiume ha piegato le dita
sul ventre. Ecco l’uomo
la sua proiezione
il suo nudo bagaglio attraversato dal sole.
 
Da moltissimi anni nei suoi panni con allegria e sperpero
pratica innesti di oleandri rossi
e diserba, bonifica – allarga
la beatitudine della famiglia
con il suo modo di impostare la giornata tra il cantiere e la caccia, resta fedele
alla promessa di sopportare la riduzione dell’amore a circostanza che non abbassa gli occhi.
 
3 giugno 2004

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