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La poesia a scuola (LM n. 73, 6.11.13)

intervista telefonica di Gabriella MUSETTI
in Letterate Magazine n. 73

Anche se spesso i poeti morti sono più vivi dei viventi, sperimentare modi efficaci per portare la poesia contemporanea a scuola è un tema frequentemente attraversato da chi conosce il progressivo impoverimento di questa istituzione, a causa dei continui maltrattamenti che sta ricevendo negli anni. Basta cercare in internet tra le numerose proposte (alcune encomiabili, altre inconcepibili), e il ventaglio di osservazioni si fa nutrito. Segnalo, dall’ottimo blog di Stefano Guglielmin (docente, poeta, critico), Blanc de ta nuque, il dibattito di alcuni anni fa su come affrontare la questione: “La poesia a scuola funziona sempre?” (2010). Oppure le esperienze apparse su un altro valido blog collettivo, La poesia e lo spirito, sempre nel 2010.  Anche un poeta e critico come Paolo Febbraro, docente nelle scuole superiori, attento osservatore dei costumi culturali della nazione, trova rilevante il tema e pubblica un e-book, Perché leggere la poesia a scuola, nel 2011.

Perché sembra così importante trovare uno spazio, a scuola, per la poesia come esperienza empatica, come parola che si spinge nel profondo delle corde umane, ne traduce il suono e il movimento, si fa voce che riconosce la vita? Oltre le, pur necessarie, analisi e argomentazioni specialistiche tipiche di un corso di formazione. A che cosa serve la poesia agli adolescenti, ai ragazzi? Certo, a sfogarsi, a esprimere sentimenti, a parlare d’amore. Ma sono risposte troppo immediate. Se vogliamo, anche a ricercare i nessi semantici, sintattici, linguistici, una esplorazione del tessuto verbale concentrato su cui esercitare qualche funzione critica, e questo è già un livello imprescindibile in un percorso didattico, ma, mi pare, non ancora compiuto nelle sue potenzialità.

Quando la vita tocca bruscamente le persone, e gli adolescenti in particolare, le parole dell’abitudine, quelle usate senza neppure coglierne più l’impronta, non servono a colmare gli spazi che traballano, ne occorrono altre, capaci di risonanze, parole che riconosciamo come necessarie. A patto di entrare in confidenza con la poesia, come rapporto consueto, amichevole, senza quell’aura aristocratica del testo pretenzioso o difficile, oscuro perché fuori dalla portata dei più. La poesia come luogo d’ascolto interiore, non per chiudersi in un solipsismo narcisistico, ma per aprirsi a interrogazioni che non hanno trovato ancora una lingua capace di dire, per guardare il mondo con occhi nuovi, più capaci di indagare, e sappiamo bene quanto la vita di un adolescente sia turbolenta.

Spesso sono proprio i docenti che scrivono poesia, o che hanno a che fare in diverso modo con essa, che si fanno promotori di iniziative interessanti, di innovazione. Particolare mi sembra quella legata al festival Pordenonelegge, a cura di Roberto Cescon, docente e poeta, e di altri poeti della regione, che hanno dato vita a un blog dal titolo curioso: ipoetisonovivi.com. Si legge nell’introduzione: “I poeti sono vivi perché la poesia vive nel presente, si nutre ed è nutrita dalla vita, dal tempo, dall’esperienza che attraversiamo ogni giorno. In questo blog pubblicheremo una poesia al giorno (solo di poeti viventi) da leggere in classe. Una poesia al giorno perché c’è la poesia, perché abbiamo bisogno di riprendere confidenza con quest’arte”. “Anche rischiando un po’ la critica – dice Cescon – è importante far circolare a scuola una poesia che tendenzialmente ha a che fare con l’esperienza quotidiana, che si fa racconto dicibile del reale. Non si tratta di fare ‘poesia facile per tempi difficili’, e neppure una ‘preghiera laica’, ma di avvicinarci a tradizioni letterarie di altri paesi, scartando da quell’eccesso di letterarietà che spesso rende la poesia inavvicinabile, ostica. Il criterio di scelta è arbitrario, come generalmente i criteri estetici. Pubblichiamo testi che ci piacciono e riteniamo leggibili per un pubblico di dodici-diciannove anni”. Non significa sacrificare la classicità per la contemporaneità, ma tentare di appassionare gli studenti a una poesia che può parlare del loro presente. Anche la scelta di non puntare sui commenti ma sui testi, così come sono, lasciati alla lettura di studenti e docenti, e altre persone, mi pare interessante e vincente – dato che le visualizzazioni giornaliere si attestano tra 300 e 500.

Anche Maria Grazia Calandrone si è chiesta e ha chiesto a numerosi studenti e studentesse dei Licei e delle Scuole Medie di Roma: “A che serve la poesia?”. Oltre al lavoro di scouting sulla rivista mensile “Poesia”, nel quale incontra testi di molti autori esordienti o non ancora noti, e ne accompagna la diffusione, interviene nelle scuole con incontri sulla poesia. Il suo lavoro nelle aule scolastiche data ormai da alcuni anni, e non si configura come presentazione o lettura della propria opera poetica, ma come vero itinerario di educazione alla poesia, nella accezione più ampia e mobile dei termini. Incontri, laboratori, presentazioni di opere e autori anche in sede pubblica, come, negli ultimi due anni, i video dell’esperienza proiettati al Tempio di Adriano. Rivolgiamo alcune domande a Maria Grazia Calandrone.

Come è nata, da cosa è nata questa idea di portare nelle classi la poesia, cosa che fai da alcuni anni, e perché?

Non credo a una rivoluzione culturale tra gli adulti, credo però alla costruzione di un cittadino nuovo e penso che la scuola sia fondamentale in questo progetto, tanto più quanto più sono piccoli i ragazzi. Non sono partita da strumenti acquisiti, ho pensato ad alcuni metodi e ho sperimentato. Devo dire che la risposta è sempre stata molto soddisfacente, a parte la mia gioia e divertimento personale. La scuola è il momento cruciale dove si costruisce il futuro e per questo merita il massimo impegno. Avendo studiato Lettere ho molti ex-colleghi che sono impegnati nelle attività didattiche; all’inizio è capitato per caso: alcuni mi hanno proposto di andare nelle loro classi, spinti anche dalla desolazione in cui versa la scuola di questi tempi. Sono tanti anni che faccio questi incontri e nel tempo il lavoro si è strutturato meglio, non dico che adesso ho un metodo preciso, però ho molta esperienza, e un po’ empaticamente, un po’ con criteri sui quali ho ragionato, riesco a ottenere risultati che a volte sorprendono anche me, soprattutto nei laboratori. 

I tuoi sono interventi estemporanei o c’è un lavoro in qualche modo strutturato, che ha una continuità?

Dipende dalla disponibilità degli insegnanti. Faccio parte anche dell’associazione culturale Piccoli Maestri. Il progetto, nato nel 2011 da un’idea di Elena Stancanelli, su ispirazione del lavoro di Dave Eggers in America (826 Valencia) e Nick Hornby a Londra (Il ministero delle storie), coinvolge un nutrito gruppo di scrittori che mettono a disposizione tempo e passione per leggere e raccontare un libro ai ragazzi delle scuole medie e superiori, in modo gratuito. Andiamo nelle scuole a leggere o a parlare di un libro, ed i ragazzi, in quel caso, vengono all’incontro avendo già letto il libro. Si parla insieme, si rileggono le parti salienti, quelle che li hanno più interessati. I laboratori di poesia generalmente si svolgono in orario extrascolastico, lì si leggono testi che gli studenti spesso non conoscono. Non sono lezioni, sono incontri di scambio, mi interessa sentire quello che la poesia suscita nelle persone, specialmente nei giovani, perché più si abbassa l’età più si abbassano le difese. Alle scuole medie ti dicono qualsiasi cosa, anche cose commoventi. Con la poesia è così. Ad esempio, ho fatto un incontro strutturato in due appuntamenti successivi con i malati di Alzheimer. Sono arrivata lì terrorizzata perché sapevo che quei malati non ricordano neppure gli eventi più immediati. È stata un’esperienza incredibile, perché proprio la mancanza di una struttura cognitiva solida è stata l’accesso a un rapporto con l’emozione, che è una parola che io detesto, alla memoria, ai ricordi, alle suggestioni, che ha creato un’atmosfera molto bella, di reciproca gratitudine.

Secondo te manca nella scuola una lettura consueta dei testi, anche senza le note, i commenti, le analisi, quella lettura che avrebbe il compito di appassionare studenti e studentesse?

Gli insegnanti hanno un programma da seguire e devono parlare di tutto in poco tempo, lo sappiamo bene. Ma se non sono loro a seguire una lettura dei testi, a farne un compito costante… Spesso loro stessi non sono preparati per leggere un testo poetico, affrontarlo così, andando alla deriva, lasciandosi suggestionare dal testo, seguendone i movimenti, lavorando insieme con i loro ragazzi. Alcuni sono consapevoli di questo, e chiamano persone esterne che possano aiutarli in questa operazione di svelamento, perché quando metti una poesia nuda davanti a delle persone, o non capiscono nulla e la rifiutano, oppure, se hanno voglia di continuare a leggerla, allora viene fuori di tutto, davvero l’imprevedibile. Questo incontro nudo con la poesia è qualcosa che tocca profondamente i ragazzi. Anche le biografie dei poeti, i discorsi generali, andrebbero fatti dopo la lettura dei testi. Non penso che la poesia sia indispensabile alla crescita dei ragazzi, penso però che sia uno strumento, come emerge anche dai video che ho fatto degli incontri nelle scuole, è uno strumento per la loro libertà, per sondare dentro se stessi. La poesia non è solo questo, ma come primo approccio, il fatto che qualcuno metta loro in mano uno strumento per affrontare meglio i sentimenti, per sentirsi tutti uguali, come diceva uno studente nel video, mi pare davvero importante.

Hai delle indicazioni, dei suggerimenti da dare agli insegnanti che si trovano con un programma sempre tanto complesso e vasto, in modo da suggerire un rapporto più proficuo con la lettura?

Far intervenire a scuola i poeti, i romanzieri, i pittori, insomma quelli che fanno con passione un mestiere artistico e creativo, e possono parlarne da un’ottica soggettiva, di lavoro e di vita, cercando di “acchiappare” anche i ragazzi che diffidano. Poi cominciare loro stessi a leggere i testi. Ci sono, nella scuola, tantissimi insegnanti preparati, che fanno il loro mestiere con passione, dedizione, e spesso sono i primi a voler avere un “binario” per poter interpretare il testo, ma non sempre è necessario, intanto occorre leggerlo il testo, insieme ai ragazzi. Ci sono insegnanti che, quando vado in un’aula, si mettono nel banco come gli studenti e mostrano un interesse forte e genuino per la poesia. L’ultimo incontro che ho fatto è stato nella classe di mio figlio che fa le scuole medie. Quando l’insegnante ha saputo che scrivo ha chiesto un mio intervento in aula. Ci siamo divertiti da matti e l’insegnante lavorava nei banchi come i ragazzi. Ho ancora tutte le schede con le parole. Il metodo che ho inventato per le medie è semplice. Ho ritagliato e fatto ritagliare loro delle parole che ognuno sceglieva o ritagliava a caso, poi le abbiamo messe in una scatola. Abbiamo agitato la scatola, ognuno prendeva delle parole, le abbiamo scritte su un cartellone componendo degli insiemi. Ciascuno poteva collegare una parola con un’altra o collocare la sua parola vicino a un’altra, che magari era stata posta casualmente in quel luogo. Avevo anche letto con loro due poesie, una di Caproni, L’uscita mattutina, e una di Alcmane,  Notturno, ed è stato molto bello perché i due testi sono stati letti più volte, da tutti, in coro. Li abbiamo sentiti suonare più volte. Sulla base di questo cartellone fitto fitto di parole scritte da loro, delle poesie lette, di immagini incollate, che avevo portato io, su queste suggestioni, ciascuno ha associato a seconda della propria sensibilità il proprio testo, che poteva essere di quattro parole o più lungo. Un ragazzo ha scritto una litania bellissima sulla madre. Sono nati diciotto testi, tanti quanti gli studenti, e li abbiamo poi letti insieme, in una sorta di restituzione collettiva.  E devo dire che alcuni sono testi molto belli.

Con le superiori l’approccio è diverso?

Sì, porto io dei testi. Quando si tratta di un incontro estemporaneo leggiamo alcune poesie e ci suggestioniamo a vicenda, quando si tratta di un laboratorio, quindi almeno cinque, sei incontri, e sono studenti già selezionati perché gli incontri avvengono dopo la scuola, allora il lavoro è più compiuto. Si leggono i testi, ciascuno dice su essi quello che vuole, quello che sente, se qualcuno vuole scrivere lo fa. Il discorso, essendo tra adulti, è un dialogo sui testi. Poi ho fatto percorsi anche più complessi con alcune classi, come nei video si vede. La poesia contemporanea, a scuola, spesso non esiste proprio, gli stessi manuali si fermano a un certo punto, generalmente ben oltre cinquanta anni fa, ma la poesia è viva, è andata avanti; e visto che i poeti sono vivi, sentiamoli.

C’è una vera carenza per quanto riguarda la poesia contemporanea, i programmi si fermano spesso ai primi del Novecento, quando con un linguaggio diverso, tematiche diverse, così il pensiero. Questo non vuol dire che si deve leggere solo poesia contemporanea, perché anche i classici sono contemporanei. Ma com’è per gli studenti la scoperta della poesia contemporanea?

Questa è la cosa importante, che li riguarda. Alcuni dicono che sarebbe meglio invertire l’ordine storico facendo leggere prima la poesia contemporanea, poi quella classica. Poeti che parlano delle cose che loro stessi vivono, poi, retroattivamente, potrebbero rendersi conto di come le cose erano nel passato. Gli studenti diffidano della poesia contemporanea, nella maggior parte dei casi, perché non si sa che esistono i poeti anche nel presente, hanno una immagine del poeta come di colui che guarda il cielo e casca nel pozzo. Ma non è così. La scoperta che sono persone vive, operative, appassionate, magari anche simpatiche, empatiche, è importante. Fa leggere con occhi diversi i testi.

La grande domanda: “A che serve la poesia”, ha avuto una risposta? L’aver fatto dei video, secondo me, è una cosa di grande rilievo perché non è solo una documentazione della tua esperienza, ma mette insieme anche l’immagine del lavoro che è stato fatto, documenta una crescita.

È interessante documentare quello che viene da loro. I video riportano solo una parte del lavoro svolto perché dovevano essere proiettati al Tempio di Adriano e quindi dovevano avere una forma contenuta. Sono state tolte quasi tutti i miei interventi perché il senso del lavoro era mostrare la loro partecipazione, la loro crescita. E’ importante leggere insieme la poesia, ad alta voce, poi, se qualcosa resta nella memoria e la si ripete dentro di sè, meglio. Ma bisogna sentirla “suonare” la poesia. Per la domanda: a che serve la poesia? La risposta è complessa. Forse, a farci rendere conto, a farci capire che c’è qualcuno che può parlare anche a nome nostro, e questo qualcuno lo fa per qualche misterioso motivo, perché riesce a toccare quel punto interno dove ci somigliamo.

Questo lavoro che stai facendo da anni con i giovani è intervenuto in qualche modo nella tua scrittura?

Forse sì, come esperienza, come la vita entra sempre nella scrittura. Prima credevo che la poesia fosse aristocratica, fosse per pochi, una cosa elitaria, di ricerca. Invecchiando, mi interessa usare questo strumento anche come forma di comunicazione, fin dove si può. Certo che interviene anche il fatto di confrontarmi con un linguaggio differente come è quello dei ragazzi. Più la poesia prende linfa dalla lingua contemporanea che riguarda anche i ragazzi, più è facile che arrivi a comunicare con loro. Lo sappiamo bene, spesso fraintendono la canzone d’autore come fosse poesia, però è un’altra cosa. Modifica nel senso che modifica la necessità di comunicazione; quindi per me la complessità, il desiderio di ricerca, si allentano, e viene in primo piano la necessità di dare qualcosa a qualcuno. Non nel senso di un messaggio confezionato, ma nel senso di far arrivare quello che emerge bene dai video, che viene colto dagli studenti: “Sei uguale, non vedi che sei uguale?”. Per quanto riguarda la mia scrittura attuale, sto indagando le immagini fossili che sono dentro di noi. Sto cercando qualcosa di fossile all’interno di noi, che si muova nuovamente. L’idea è quella del poeta come una scimmia lunare che acchiappa la voce preistorica, la nostra preistoria interna e quella dell’umanità. E’ una cosa a cui sto girando intorno da un po’di tempo. Come un’immagine di un grido rimasto fossile, che non ha avuto la possibilità venir fuori, come una morte prematura. E cerca nuove possibilità.

Calandrone incontra Roberto Cescon e Marco Zulian, che mettono in pratica la vitalità della poesia lavorando con gli allievi di un Liceo Scientifico di Pordenone, nel caso di Cescon, o giovani così detti “a rischio” nel comune di Saint Denis (Parigi), nel caso di Zulian. Entrambi parlano della loro esperienza e degli effetti del fare o del leggere poetico nella vita e dei ragazzi.

Conversazione di MGC con gli studenti del Liceo Kant di Roma e con gli alunni di alcune scuole medie.

Post di Giorgio Morale su un’esperienza di poesia nella scuola elementare.

La foto (Punto Einaudi 2012) è di Laura Callegaro

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