al-akhbar (Marocco, 16.7.16)
Intervista a Maria Grazia Calandrone di Ahmed Loughlimi
traduzione di Ahmed Loughlimi
– la sua vita culturale è molto ricca; Lei è poetessa, drammaturga, performer, organizzatrice culturale, autrice teatrale e conduttrice di programmi culturali per la RAI Radio 3, critica letteraria per il quotidiano “il Manifesto”; e per la rivista internazionale “Poesia”… e tante altre attività… di fronte a tutto questo è difficile cominciare quest’intervista con lei ma vorrei iniziare con la poesia:
– Quando ha scoperto la magia della poesia e quando ha cominciato a scrivere?
Credo che “magia” sia la parola perfetta per descrivere la prima sensazione che ho ricevuto dall’ascolto della poesia. Scrivo “ascolto” e non “lettura” perché è stato durante l’ascolto di una lettura ad alta voce del Notturno di Alcmane che ho scoperto che la poesia era quel che volevo dalla vita. Ero in quinta ginnasio, dunque avevo già letto e studiato poesie, ma il momento della rivelazione è avvenuto così, ascoltando la descrizione di un paesaggio dell’Attica attraverso parole scritte due millenni prima, che hanno avuto il potere di trasportarmi “altrove”. Una volta scoperto questo potere della poesia non si torna più indietro. Si tratta di una forza pari a quella amorosa. Energia pura.
– Che cos’è la poesia secondo lei?
Stando a quanto ho appena scritto, per me la poesia è un mezzo di trasporto per l’“altrove” pari all’amore. Però, attenzione: con “altrove” non intendo assolutamente dire che la poesia sia una forma di evasione dalla realtà. Tutt’altro. La poesia nasce dalle cose del mondo e dalla indagine sul mondo, è una forma di conoscenza della realtà praticata attraverso le parole. Ma, come tutte le altre arti, indica che “la realtà non basta a nessuno”, come scrive Fernando Pessoa. La realtà, da sola, ci affligge. Tutti gli esseri umani sentono un anelito verso la bellezza: dal primo progenitore della nostra specie, maschio e femmina che fosse, che ha fatto il primo disegno sulla parete della sua caverna. La poesia, le arti e, per altri, le religioni, rispondono al bisogno d’invisibile e di bellezza che pulsa e ferve al centro degli animali umani.
– qual è l’utilità della poesia e il suo ruolo nel mondo?
In senso universale, utilità e ruolo della poesia sono soddisfare il bisogno di un invisibile “altrove”, come ho appena descritto.
Circoscrivendo la mia risposta alla società occidentale contemporanea nella quale vivo, posso dire che qui e oggi, presso di noi, la poesia serve perché non serve. La civiltà occidentale contemporanea è sopraffatta dall’agonia del mercato e dal capitale. La nostra situazione politica denuncia il proprio vuoto. La nostra umanità non ha utopie verso le quali muoversi. I discorsi della merce e del capitale per un certo tempo hanno prevalso, poi hanno compiuto il proprio corso vitale, il mercato ha mietuto le vittime della sua dittatura invisibile e ora sta esalando i suoi ultimi respiri. Noi europei siamo confusi e in transizione. La storia del mondo vuole che le frontiere sociali, economiche e razziali, si aprano – e ci sono tutte le naturali resistenze della paura di chi si sente assediato e addirittura derubato dall’arrivo degli “altri”. All’interno di questo spettacolo umano la poesia serve a ricordarci che, per gli “altri”, gli “altri” siamo noi, serve ad accomunarci sotto il segno di una indispensabile bellezza. Ripeto: indispensabile.
– La poesia può cambiare il mondo e l’essere umano?
No, non può, se non in casi rarissimi. Ma può appunto ricordarci a quale utopia dovremmo tendere, può rimetterci in contatto con il nostro bisogno più profondo – e dunque più comune. Per un tempo che si spera non provvisorio, può risvegliare in noi la compassione, il senso di essere parte della comunità umana, vivente e non vivente, visibile e invisibile.
– ha scritto tanti libri, tanti articoli …ed ha fatto e sta facendo una cosa molto interessante, secondo me: organizzare incontri con i ragazzi delle scuole e con gli studenti per far amare loro la poesia e per incoraggiarli a scriverla. possiamo insegnare agli altri a diventare poeti? e cosa ha imparato da questi incontri?
Rispondo a questa intervista da un treno che mi sta portando a Civitanova, dove svolgerò proprio uno dei laboratori che lei descrive.
Il mio intento non è quello di creare nuovi poeti, tutt’altro! Il mio intento è quello di seminare utopia. Immagino che, dopo aver letto le mie risposte precedenti, sia chiaro cosa intendo. Desidero però aggiungere una cosa: i poeti (gli artisti) conservano probabilmente una memoria più viva di un mondo che ognuno definisce a modo suo: amniotico, edenico, platonico o protoverbale, secondo la dizione dello psicanalista Wilfred Bion. Ebbene, è parlando la lingua di quel mondo che io parlo ai ragazzi – o ai carcerati, o agli ospiti dei Centri di Salute Mentale –, parlando la lingua che Tomas Tranströmer ha definito “lingua invisibile”. Ma approfondirò questo concetto rispondendo all’ultima domanda sulla traduzione.
– visto che sta lavorando nel giornalismo culturale ed è anche presente in antologie di poesia, tra le quali Nuovi poeti italiani (Einaudi, 2012); come vede la poesia italiana contemporanea?
Tanto ben scritta quanto ininfluente, nella sua gran parte. La poesia italiana soffre di essere letteraria. Nella sua parte migliore è poesia di ricerca, che vuole sfondare i confini tra le arti fino a farsi segno fra i segni. Nella sua parte peggiore è l’ormai usurato lamento dell’io o una denuncia spesso insincera, che desidera primariamente suscitare ammirazione per la sensibilità sociale dello scrivente. Nella sua parte più estesa è buona poesia non ombelicale, che si occupa del mondo perché chi scrive è finalmente riuscito a vederlo.
– ha scritto anche il romanzo. cosa ha aggiunto la narrativa alla poesia e cosa ha dato la poesia alla narrativa?
Così come il teatro e, da ultimo, il cinema, scrivere prosa o dialoghi, simulando il parlato, aggiunge chiarezza alla poesia e, probabilmente, il lungo esercizio sulla poesia – e dunque sulla densità di lingua e linguaggio – aggiunge esattezza alla prosa.
La poesia esige chiarezza di cuore e di pensiero. È un esercizio umano, prima che letterario.
– Il suo libro Serie fossile che parla, diciamo, di una storia d’amore, una filosofia dell’amore; è molto interessante come parla della filosofia dell’amore che è anche vicina alla filosofia dei Sufi… Ci parli della sua filosofia dell’amore; perché l’amore?
L’amore ha una sua disciplina e, sebbene come proprio effetto secondario, ci mette in un percorso di crescita spirituale, perché conduce dalla solitudine dell’individuale al binomio di una coppia, come prima tappa. Se l’amore funziona come deve, gli innamorati non si chiudono di nuovo nell’egocentrico Uno-fatto-di-Due, ma si aprono progressivamente all’universale. L’amore che lavora bene: espande, non restringe, non ripiega su se stesso, produce piuttosto un atteggiamento di disponibilità nei confronti dell’altro e del mondo. Per l’innamorato l’altro è l’inizio del mondo. Chi ama come è scritto in Serie fossile ha più bisogno di aver cura dell’altro che di essere amato. La sua gioia più grande consiste nella gioia dell’altro. In questo senso, sì, somiglia molto alla mistica Sufi.
Io non sapevo niente dell’amore, prima di amare. Credevo che l’amore fosse dare e ricevere del bene, nient’altro. Non sapevo che quello che per noi è bene per un altro può essere sconvolgimento e dolore. Ho imparato a non dare niente per scontato, a calare ogni elemento sentimentale, anche la gioia elementare, nell’esperienza biografica e nella realtà di ciascuno. Per raggiungere lo spontaneo e semplice fluire della gioia e del bene da uno a un altro bisogna prima accordare gli strumenti. E bisogna che in entrambi ci siano prima la volontà e poi l’impegno per farlo.
– che cos’è l’amore per lei?
L’amore è una forma di conoscenza del mondo attraverso l’altro.
L’amore è un viaggio in un altro universo.
È la scoperta che esistono tanti mondi quanti siamo noi esseri viventi.
L’amore è entrare in dialogo con un altro mondo.
Attraverso il corpo dell’altro. Meglio, attraverso la narrazione interiore che fa il corpo dell’altro. Attraverso lo sguardo dell’altro. Attraverso la gioia e il dolore dell’altro, al quale bisogna prestare attenzione e del quale bisogna avere una cura pari a quella che si ha per sé.
L’amore ci sprigiona.
L’amore opera una mutazione genetica.
È l’esperienza sconvolgente di vedere il mondo come avendo vissuto l’esperienza biografica di un altro.
Dopo, non si può più tornare al monolite dell’io.
– e che cosa succede quando ci si innamora?
Che il mondo appare per la prima volta.
– è tradotta in tante lingue : ceco, francese, giapponese, greco, russo, inglese, arabo, romeno, serbo, tedesco…ecc . e anche lei ha tradotto tanti poeti in italiano, secondo lei si può tradurre senza tradire?
Sul tema della traduzione, sposo la risposta di Tomas Tranströmer:
quando gli venne chiesto se non temesse di venire tradito dalle traduzioni della sua poesia, Tranströmer rispose che la poesia è comunque traduzione di una “lingua invisibile”.
Se il traduttore è sensibile, dunque – e tanto più se è un poeta – attinge anch’egli alla stessa fonte alla quale ha attinto chi ha scritto la poesia. Proprio attingendo alla “lingua invisibile” e non compiendo una mera traduzione della lettera del discorso, la vibrazione di fondo può rimanere la stessa, ed è anzi più corretto che ciascuna lingua “ricrei” quel suono assecondando la musica delle proprie parole. Certo, è necessario fidarsi dell’orecchio interiore di chi traduce!
– lei scrive anche Lo haïku ed ha vinto un premio .. quando ha scoperto questa forma giapponese e come definisce lo haïku?
L’haiku ci chiede di essere oggettivi ed essenziali. Le nostre parole devono descrivere, secondo una brevissima forma chiusa, una cosa concreta naturale. Siamo costretti a guardare fuori di noi e a concentrare un sentimento in poche parole. È una lezione di maturità per noi occidentali, per tradizione analitici, prolissi, complessi ed egoriferiti. Si tratta dell’operazione filosofica profonda del semplificare, naturalmente non nel senso della superficialità, ma della profondità e della chiarezza. Un vivificante apprendimento di leggerezza, vista del mondo ed effusione sul mondo.
Il mio contatto concreto con l’haiku è stato casuale: ho scritto i primi testi per partecipare a un concorso indicatomi da un amico e mi sono immediatamente innamorata dell’esercizio interiore che ho appena descritto. Infine, avendo vinto il concorso ed essendo stata mandata in viaggio-premio a Tokyo e Kyoto, sono stata conquistata dalla cultura giapponese, dal suo autocontrollo, vuoto apparente, gentilezza, violenza e soprattutto immobilità. Così, ho scritto un intero libro, Giardino della gioia, utilizzando la tensione all’essenzialità dell’haiku, più che la vera forma alternata in 5-7-5.
In poche parole o una se vuole:
– Quali sono i libri che hanno segnato Maria Grazia Calandrone? Il settimo sogno. Lettere 1926 Cvetaeva, Pasternak, Rilke. I quaderni di Malte Laurids Brigge, Rainer Maria Rilke
– I suoi film preferiti? In the mood for love di Wong Kar-wai
– I suoi poeti preferiti? Nel tempo: Rainer Maria Rilke, Ted Hughes, Amelia Rosselli, Paul Celan
– Gli alberi? Il tiglio
– La vita? È la vita. E la vita contiene più di una morte.
– La morte? È il limite che ci rende commoventi. E facciamo di tutto per sconfiggerlo.
– I poeti? Creature che cercano di accostarsi al segreto del mondo.
– Le farfalle? La scorsa estate ne è nata una nella mia cucina. Ho visto con i miei occhi cosa vuol dire trasfigurarsi e diventare bellezza. Ho assistito allo stesso fenomeno un’altra volta, mentre guardavo una persona amata avvicinarmisi percorrendo una ventina di metri. Ogni passo aggiungeva luce a luce. Alla fine, sono stata raggiunta da un essere che aveva le ali.
– Gli animali? Il cavallo. La sua fiera libertà. Il suo imbizzarrirsi e il suo portarci. Ho anche fatto un video su questo animale: https://www.youtube.com/watch?v=-tKtmJeb6dk
– L’anima? Sta nel corpo
– Il corpo? È la sola anima disponibile
– L’arte? Ci ricorda chi siamo
– Il sogno? Ci manifesta chi siamo
– Dove si trova la salvezza dell’essere umano? Nell’uscire da sé
– La traduzione? È diventare un altro
– La donna? Una creatura che si doppia
– l’uomo? Una creatura che costruisce
– il teatro? Un esercizio di chiarezza
– La musica? Una strada maestra per la memoria
– La bellezza? Indispensabile
– La notte? Di notte dormo, preferisco il giorno
– Gli amici? Qualcuno che a volte ci salva la vita
– Milano? La conosco poco, l’ho lasciata quando avevo 8 mesi.
– Maria Grazia Calandrone? Una donna che non cede
La pergola del glicine il diciannove aprile
è tutta sparsa
nell’azzurro di aprile
la piantagione
una splendente
piantagione di sangue
nel cielo vero
il profumato
sangue viola del glicine
goccia dal ferro
croce di ferro
impalcatura bianca
del nostro sangue
la ferramenta
leva al cielo un impasto
carminio e bianco
nessun rumore
dai composti di ferro
del nostro cuore
quasi immortale
argine di silenzio
nel petto nudo
se tu vedessi
che io non sono sola
in questo niente
Deposto il nome
Diceva sempre
ditele che la amo
e ditele che ho fatto tanta strada
per amarla.
Ditele che se uscivano
angeli e diavoli dalla sua bocca,
io vedevo soltanto la sua bocca.
Ditele che mi abita
per sempre.
Diteglielo, vi prego. Diceva sempre.
da Giardino della gioia
volevo scrivere della gioia
l’odore del tuo fiato nel cuore
dell’estate
il morso
leggero dei tuoi denti proprio all’orlo
la luce della luna
getta nelle pozzanghere
il bianco degli astri
*
l’ombra semplice del corpo in amore
l’oscillazione
dei monili sul collo
e lo smalto dei denti
sfolgora, nudo
la tua lingua
s’impunta chiara fra le labbra scure
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