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Pietrini Daniele (Poesia n.320, 11.16)

Daniele Pietrini
La vita in più
“Poesia” n. 320 – novembre 2016

Fu per lui e pochi altri che sette anni fa proposi a Nicola Crocetti la rubrica di inediti “Cantiere” che, proprio in questo settembre 2016, ho deciso di interrompere nella sua cadenza mensile, perché la poesia “fisicamente insopportabile” come quella di Daniele Pietrini è rara, se non rarissima.

Sotto morfina, negli ultimi mesi, Daniele ha scritto un’opera lucida e coraggiosissima sulla propria fine, che sapeva imminente e dalla quale è stato purtroppo raggiunto, sempre in questo settembre, mentre noi preparavamo queste note.

Un cerchio si è misteriosamente chiuso. Eppure, Daniele scrive: “do disposizione / che in quell’istante ogni uscio resti aperto”.

È dunque lui stesso a incoraggiarci a continuare, ad avanzare dentro questa terra fatta di parole, dove un essere umano affronta la coscienza di essere in punto di morire, perché la sua disposizione (d’animo) è ancora e sempre verso l’aperto.

La direzione della poesia di Pietrini è infatti tutta, coerentemente, verso il fuori di sé, è la direzione di uno sguardo che parte da terra (“Guardare in su non mi salva: mi crea”) e circola in direzione dell’umano: “il nulla diviene qualcosa / grazie alla tua attenzione”. L’”attenzione” è un sentiero di nitore molto battuto dai poeti, perché in molti hanno compreso che notare l’alterità, in primo luogo quella del mondo, ricrea il mondo e i suoi abitanti, anche attraverso la loro esatta nominazione. Pietrini viene creato dal guardare in alto, mentre ricrea il mondo, attraverso la propria dedizione. Concetti dunque generativi e di generazione circolare, espressi da qualcuno che sta per interrompersi.

Sfido chiunque a trovare un solo lagno, un singolo tono di autocompiacimento o autocommiserazione in questi testi, anche quando parlano del dolore del corpo, così evidentemente acuto e pervasivo da aver fatto compiere ai medici la scelta di somministrare a questo corpo poetante la morfina, il principio attivo che intitola, infatti, l’ultima sezione della silloge. 

Anzi, della lauda, perché Pietrini ha scritto sulla gioia per il breve tempo che le cure gli hanno ancora concesso, per questa propria vita prolungata. Fin dal titolo, lievemente autoironico: La vita in più, ha scritto sul mondo che quotidianamente si accende e si spegne sotto il suo sguardo che si congeda – e sul mondo che continuerà, dopo che il suo sguardo non sarà stato altro che le sue parole.

Affrontando i primi testi che Pietrini mi aveva mandato, Zalongo, profonda analisi spirituale del suicidio di massa di cinquantasette donne greche, che intesero così sfuggire, con i propri figli, ai soldati turchi di Alì Pascià, scrivevo della “grazia di chi è al grado zero del suo io, è nel suo pieno e raggiunto disinteresse.”. Questa caratteristica si è sviluppata e approfondita nel tempo e nemmeno la disperata circostanza biografica è valsa a piegare Daniele su se stesso. Tutta la sua poesia pareva e pare infatti provenire da un profondo luogo comune, da un abitare le zone collettive e interiori dell’umano.

Di più: la poesia che Daniele Pietrini scrive in questo breve tratto di vita regalato dai farmaci, è poesia leggerissima. La sua scrittura, un tempo tanto densa, si è andata rarefacendo e ha acquistato nettezza e precisione, è diventata aerea e grata: registra lo spettacolo naturale, documenta quanto il suo sguardo vede. Ma, soprattutto, onora l’amore che gli viene donato, comprende che l’amore è il più alto valore umano, il solo modo di solcare il tempo della nostra esistenza, dando frutto.

Pietrini ha avuto il coraggio di essere felice della vita che aveva, così com’è. Di ammirare le  cose che stava perdendo, senza livore e, quel che è esemplare e magnifico: senza rimpianto, senza il seme nero della perdita a inquinare ogni cosa vista. Ma vedendo la cosa com’è, in quel momento, proprio mentre ci sta davanti agli occhi. Avvolgendo il boccone “con tutto il corpo”. Godendo dell’”hic et nunc” con il quale si chiude la sua opera poetica, che, tutta intera, ci mostra l’altra faccia della così detta “realtà”, quell’ultrasuono laico che, se tendiamo le orecchie, ascoltiamo noi pure.

In certi rari casi, questa cosa che le creature sono necessitate a fare e chiamano poesia, ha senso di esistere: Pietrini sembra aver appreso, attraverso il suo corpo materiale, e qui ci documenta In accurate iambics (ah, l’ossessione della forma-sostanza!) la sola lezione che siamo venuti ad apprendere: la vita è effimera, probabilmente inutile, dunque – proprio per ciò – l’amore conta.

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