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Scaramozzino Francesco, L’onere dei nidi (motivazione Notari, 17)

Scaramozzino ha la capacità di associare l’inassociabile, il così detto “alto” al così detto “basso”, il così detto “lirico” al così detto “impoetico”: di attingere, cioè, alla mischia parlante della poesia di temperamento novecentesco, per tirarne le conseguenze dovute. La consapevolezza linguistica è talmente evidente che è superfluo notarla più a lungo. Ma possiamo aggettivarla: è una consapevolezza evocativa, non dimostrativa. Allude senza dire e senza però usare metafore, perché la lingua è tutta già spostata in una zona metaforica diremmo quasi dell’essere, più che della stessa lingua. Ma questa zona al di là dell’essere non pare essere metafisica, tutt’altro: le parole costruiscono un universo fermo e concreto, solo baluginante di una luce interna, propria.

È attraversando il mondo, infatti, che arriviamo al volo dell’ultima sezione – come ben nota anche Marco Tabellione nella nota finale – e il volo è a sua volta un nome che sta per “poesia”, se Scaramozzino scrive: “Vedi? trema sulla pagina / con le sua ali / anche quest’ultima poesia, / che ha l’attitudine al volo”.

Il poeta getta dunque sul mondo una rete a strascico e tira alla secca della sua scrivania alcuni reperti (appunto) baluginanti, evocativi di un mondo che non è dato fissare sulla pagina, che non è dato trattenere nella vita, ma che è dato e ridato: ricordare – al quale è dato e ridato: aspirare – e che riassumiamo, con Scaramozzino, nella parola: “avvicinati”. Detto a una donna. Detto al mondo stesso.

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