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Lo stato di salute della poesia (Corriere del Ticino, 14.4.18)

“Io mi vergogno,/sì, mi vergogno di essere un poeta!”. Con questi due versi Guido Gozzano sentenziava il ruolo sempre più marginale della poesia nel Novecento, un secolo fin troppo prosastico per auscultare una voce con tempi e modalità diverse. Mai come nel Novecento, però, la poesia conobbe una stagione felice e ricca di tensioni diverse, in cui emerse anche l’ambizione a voler agire nella realtà cambiandola. Nel 2018, che spazi ci sono per questo genere letterario? È in salute? Chi è – e che fine ha fatto – il famoso pubblico della poesia (per dirla con il critico Berardinelli)? “Mai come ora la poesia è viva – spiega Gian Mario Villalta, poeta e narratore nonché Direttore artistico del Festival Pordenone Legge, che fra le altre cose ha il merito di dare grande spazio ed evidenza alla scrittura in versi. “Sta tornando dappertutto, a tal punto che le case editrici maggiori, come Rizzoli e Mondadori, ma anche Bompiani e HarperCollins, stanno tornando ad offrire nei loro cataloghi libri di poesia. Volumi che però si staccano dalla tradizione del Novecento”. Villalta continua sottolineando che il modello di comunicazione scelto è molto veloce, ad effetto: come i post su Facebook e su Twitter. “Alcuni successi pubblicati lo scorso anno da Mondadori sono strutturati così – sottolinea il poeta – poche parole di commento sulla vita quotidiana che devono essere consumate in fretta, sull’onda dell’emozione provata in quel momento”. Un bene? Un male? “Rianimare la poesia è indubbiamente utile, però occorre ragionarci sopra. Questo tipo di comunicazione esclude l’opera. Su Twitter non c’è spazio nemmeno per un sonetto, non si può sviluppare un discorso, sono tutti momenti-spot. È ancora poesia? O è solo la schiuma della poesia?”. La domanda è lecita e se la pone chiunque si occupi seriamente del tema. “Registriamo però una cosa positiva: c’è ancora chi cerca, chi ha fame di poesia e dei  suoi strumenti retorici. Ora si tratta, da parte delle case editrici, di decidere se si ha voglia di fare un discorso più ampio, di salvare la poesia come discorso stratificato e complesso, al di là degli incassi allettanti che si fanno con la schiuma della poesia”.

Anche chi sceglie strade molto lontane da quelle legate all’immediatezza e al profitto nota un miglioramento del quadro generale. Come la casa editrice Donzelli, la quale l’anno scorso ha pubblicato ben cinque titoli di poesia. “Di solito le uscite su un anno sono sempre state tre o al massimo quattro, con una prevalenza di titoli stranieri – precisa Elisa Donzelli, che oltre ad essere studiosa di poesia e italianista dirige la collana di poesia dell’omonima casa editrice. “Ma la scommessa e lo sforzo sono stati ricompensati, visto che nell’arco di tre mesi abbiamo ristampato tre libri: I mondi di Mazzoni, Una stagione d’aria di Leardini, Quasi un consuntivo di Pagnanelli”. Le vendite, conferma Donzelli, non sono ancora altissime, ma qualcosa si sta muovendo. “I numeri sono ancora piccoli, ma non piccolissimi. Dire che la poesia è in crisi è un’affermazione molto generica, io vedo una crisi in quelle operazioni che tentano di ridurre la poesia a una sola visione o ad uno schieramento, a una cerchia di poeti simili fra loro: il contemporaneo è molto più caotico e vasto di quanto si pensi”. Se c’è un criterio che guida le scelte della collana di poesia della casa editrice Donzelli è quello di seguire autori che sappiano ricostruire un dialogo fra l’io e il mondo sviluppando “una coscienza del rapporto fra sé e la storia”. “Sin dagli inizi il problema sono state le librerie, e lo restano ancora oggi. O meglio le novità, che subito scalzano i vecchi libri, i quali rimangono sullo scaffale poche settimane: il che la dice lunga su quanta poesia venga pubblicata, senza un controllo di qualità. Ai Festival, o durante le Fiere, ci siamo accorti che a comprare poesia sono due fasce: quella dei giovanissimi sotto i trent’anni e quella dei senior che superano i 65 anni”.

Anche Roberto Galaverni e Maria Grazia Calandrone concordano su un punto: la poesia è ancora viva. “I suoi funerali sono stati celebrati infinite volte, nei secoli” specifica la poetessa, che scrive per giornali e riviste ed è impegnata da anni in progetti sociali di divulgazione dei testi poetici. “La poesia, invece, è riuscita ad adattarsi alle varie forme di comunicazione, perché risponde a un profondo bisogno umano. Per quanto cambino le tecnologie, per quanto la società avanzi o indietreggi, l’umano rimane lo stesso. Oggi come sempre, esistono poeti e critici convinti che la poesia sia morta e che cercano o suggeriscono mezzi alternativi alla pagina scritta per arrivare a un pubblico che sembra sfuggire, ma, a mio parere, il cosiddetto pubblico è vivo e presente”. Maria Grazia Calandrone si occupa, fra le varie cose, di divulgazione su Rai Radio Tre, canale per il quale ha recentemente curato una rubrica intitolata “Alfabetiere Poesia”, che presenta per 21 sere testi poetici legati ad una parola quotidiana, scelta seguendo l’ordine delle lettere dell’alfabeto. “Mi chiedono di fare programmi di poesia perché l’ascolto è altissimo. Non analizzo i testi facendo vera e propria critica letteraria, perché la radio non è il mezzo giusto, l’ascolto è certo più distratto che in un convegno, ma non abbasso il livello: leggo poesia e racconto poesia in maniera analogica, evidenziando i legami tra i testi e le esistenze stesse dei poeti. Avverto molto bisogno di poesia, i Festival sono molto frequentati. Nelle scuole incontro gli studenti e riscontro interesse anche da parte dei ragazzi, i quali però non sanno dove trovare i libri dei poeti contemporanei. Per questo esistono corsi di formazione per docenti, ai quali i docenti stessi partecipano con curiosità e interesse, così da entrare in contatto con le scritture contemporanee, per esempio quella di una poetessa importante e a me carissima come Antonella Anedda, che potranno poi suggerire ai propri studenti”.

E i giovani, come scrivono? Quali sono i temi che innervano le nuove produzioni? “Come critico letterario leggo molto di più di quanto non scriva – spiega il critico letterario Roberto Galaverni, uno fra i fondatori del Centro di poesia contemporanea di Bologna, firma del Corriere della Sera e collaboratore presso “Il Segnalibro” (RSI Rete Due). “Scrivo ancora poco sui giovani per prudenza, ma sono contento quando trovo qualcosa che mi piace, quando trovo un giovane poeta che legge gli altri ed è interessato a quelli che hanno scritto prima di lui. Recentemente mi ha colpito il fatto che molti giovani poeti – e non so se questa sia una coincidenza – abbiano parlato di esperienze non immediatamente collegate con la propria esperienza individuale, facendo riferimento all’antropologia dell’uomo, alla specie, alla genetica, nel tentativo di fare un discorso che coinvolgesse il rapporto fra io e altri non in modo ideologico. In molte poesie giovanili, poi, mi colpisce il senso di precarietà riguardo a temi come il lavoro ma anche le relazioni”.

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