Zaffarano Michele, Sommario dei luoghi comuni (Aragno 2019)
«Le idee dei tempi non è i sentimenti dei tempi […] i sentimenti dei tempi svela le assenti idee dei tempi», scrive Michele Zaffarano – ed è su questa ascissa ideale che si abbattono le coordinate dei Luoghi comuni. Zaffarano è traduttore e, dunque, immedesimato conoscitore della scrittura di ricerca francese contemporanea. Tarkos, per esempio. Se la lingua è un invisibile di ciò che siamo, tradurre è imparare a pensare come un altro, essere temporaneamente altro da sé. Questo allenamento all’alterità è una mola, un mulinello e un polo di attrazione centripeto, nella poesia di Zaffarano autore, che spinge la parola a riprodurre obiettività e serialità, più ancora che dell’oggetto in sé, dell’accumulo dell’oggetto diventato merce. Il Sommario dei luoghi comuni inscena la serialità della merce sugli scaffali e l’infinita riproducibilità dei fenomeni, pure di quelli umani, un tempo privilegiati. Catalogo melancholico e schedario politico nello stesso momento, il libro specchia la nostra stessa riproducibilità di parlanti, il nostro essere punti di intersezione sull’ascissa-tagliola produttiva. L’idea è che questo libro si debba srotolare come il rullo di una cassa o come un cartiglio, piuttosto che sfogliare; l’idea è che questo libro voglia ipnotizzare il lettore per liberarlo da un’ipnosi storica precedente, tanto è evidente il fine pratico della poesia, il suo additare un organismo che oscilla a occhi chiusi tra la materia fredda di un dibattito interno («è le forme delle espressioni / è contro le forme delle espressioni») e un altro, parallelo e continuo, tra dentro e fuori di sé, che coinvolge anche il caldo del corpo, il quale «espunge i valori alle parole», ma, altrettanto, «i valori dei corpi è internamente alle parole». Ma le parole sono allineate in continue inversioni semantiche, rovesciamenti, ipnotiche spole linguistiche, avvitamenti e carpiati di conio rosselliano – e quella voce che fu rotta, esondante e focosa in Rosselli ora cola nei pixel a tema, coi singulti pseudo-inerziali della flarf poetry, ora è freddata dallo straniamento del vedere il contrario di tutto e d’ogni punto di vista, rinunciando alla puntuta oscenità autoriale in favore di un impianto plurale ed equivalente di sé, raccolti in un imparziale sorriso ironico, tanto più veritativo quanto più equidistante da “idea”, “pensiero”, “verità”, “emozione”, dalla stessa materia.
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