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Michele Mari e Elena Ferrante (poesiaeletteratura 25.1.20)

intervista di Francesca Rita Rombolà 

Michele Mari e Elena Ferrante. Due agganci diversi delle nostre persone che, per fortuna, sono ancora intere. Un’intervista.

D – Maria Grazia Calandrone, ho visto dal suo CV che la Poesia le è come familiare. Iniziamo, dunque, questa conversazione proprio parlando di poesia? La Poesia e il poetare per lei.

La poesia è il mio mezzo per conoscere me stessa, poi gli altri, infine il mondo. Mi è indispensabile come respirare. Credo che questo valga per tutti gli artisti di tutte le arti.

D – Realizzare un reportage per la televisione (so che lei ne ha realizzati) non è come scrivere un libro, vero?

Decisamente no. Sono due linguaggi molto diversi: il reportage televisivo è destinato a una ricezione immediata (sebbene ormai tutto possa essere visto e rivisto a volontà in rete).

Il libro, viceversa, è pensato per una lettura meditata, generalmente solitaria, dunque la scrittura può permettersi di essere più complessa e lavorare di più sullo stile.

Con questo non voglio dire che la scrittura di un reportage non debba porsi il problema dello stile, ma certamente deve essere più immediatamente chiara.

D – Scrivere un romanzo oggi, secondo lei, può significare davvero fare letteratura? Talvolta anche dell’ottima letteratura?

Certo che sì. Un esempio su tutti: Leggenda privata di Michele Mari. O il caso clamoroso di Elena Ferrante, che è riuscita a scrivere una saga mozzafiato.

D – Mi parli un po’ dell’Haiku, dell’idea che ha di questo modo tutto giapponese di scrivere poesia.

Sintesi assoluta. Ogni parola incisiva come una lama, ma leggera come una goccia. Parole-katana, che ti tagliano senza che tu te ne accorga.

D – Chi ama, chi sente, chi recepisce davvero la Poesia nel 2020, in Italia in primis?

I fedeli della poesia sono molti, anzi moltissimi. Ama, sente e recepisce la poesia chiunque abbia dimenticato la noia e l’inattualità con le quali l’insegnamento scolastico sommerge e porta a fraintendere la novità e l’attualità della poesia.

Dante scrive della nostra contemporaneità. Purtroppo i professori spesso lo ignorano.

D – Spesso mi sembra che il poeta è ormai una figura banale, scaduta, inattuale, inutile. E’ così?

Direi proprio di no. E lo testimonia la quantità di domande “esistenziali” che mi vengono rivolte a ogni lettura o presentazione.

In ogni caso, “banale” spesso è l’opposto esatto di “inattuale”: credo che pecchi di banalità più chi vuole essere a tutti i costi “attuale”, che chi segue la propria passione scavalcando la moda del momento.

D – Ma una poesia può cambiare ancora l’uomo e il mondo…

Dipende da chi la legge. A me una poesia (il Notturno di Alcmane) ha cambiato la vita.

E, tra i moltissimi ascoltatori dei laboratori che negli anni ho fatto in scuole e carceri, addirittura due detenuti, due ex spacciatori, hanno trovato un nuovo scopo alla loro vita grazie alla poesia.

È una semina al vento, non è capitalismo. Ogni tanto, qualcosa fiorisce. E va bene così.

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