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Che genere di parole (Quaderno n. 2 – novembre 22)

I quaderni di Alma Sabatini

Che genere di parole

Maria Grazia Calandrone

1 – Preferisci definirti ‘poeta’ o ‘poetessa’? Il suffisso in ‘essa’ ti dà fastidio o lo trovi significativo? ‘Poeta’ è un termine di ‘genere comune’, come dicono i linguisti, cioè uguale per tutti e basta cambiare l’articolo – la poeta, il poeta – per indicare se ci si riferisce a un uomo o a una donna. C’è però chi sostiene che ‘poeta’ è neutro e che si dovrebbe dire sempre ‘il poeta’, senza distinzioni di genere, sei d’accordo o no?

Ho sempre preferito definirmi poetessa, nella speranza che l’associazione tra la poesia delle donne e la melensaggine sentimentale sia stata ormai smentita dai fatti, cioè dalla dimostrazione che la poesia delle donne concerne l’intero scibile e non solo la parte emotiva che si pretendeva (nel senso proprio letterale della pretesa) fosse di suo esclusivo interesse. Se è vero, come credo, che la poesia non è un’astrazione, ma emana anche da una specifica esperienza psicofisica e biografica, attribuire a sé stessi il genere neutro significa voler cancellare – a causa di pregiudizi di altri, che appunto speriamo superati – l’origine corporale delle proprie parole.

2 – Credi che il sessismo sia ancora molto presente nella lingua del nostro paese? Se sì, puoi farci qualche esempio? E cosa ne pensi delle recenti polemiche sul femminile dei nomi di ‘ruolo’ (per esempio: ministra/avvocata)?

Nella nuova edizione del vocabolario Treccani, diretto dai linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, ogni parola sarà declinata al maschile e al femminile, in ordine alfabetico: quasi sempre, dunque, leggeremo prima il femminile e poi il maschile. Questo mi pare un interessante specchio dello stato delle cose in Italia e mi pare cominci a confermare la svolta della quale ho scritto più sopra.

3 – In ambito letterario ed editoriale noti delle differenze, ci sono dei casi specifici che ti hanno colpita?

In ambito letterario mi pare che la così detta parità di genere sia acquisita, mentre nell’ambito editoriale lo è meno, ma credo sia un percorso cominciato, con esempi sempre più diffusi di donne alla guida di case editrici o collane, all’interno di esse.

La domanda è: ora che le donne possono pubblicare le proprie scritture come e quanto gli uomini, e non perché si siano mimetizzate nella scrittura maschile, le loro scritture cambieranno? Mi spiego: in poesia, la marginalità delle donne ha regalato loro una libertà di temi e stile della quale gli uomini non godevano: poiché nessuno le pubblicava, le donne potevano scrivere in assoluta anarchia. Pensiamo a Gertrud Kolmar, ad Akiko Yosano, pensiamo alle rivoluzioni avvenute nella scrittura femminile afghana, irachena, iraniana, che ha fatto esplodere temi e stilemi tradizionali. Credo sarà necessario e pure divertente osservare se scrittura maschile e femminile convergeranno verso una terza scrittura, una sovrascrittura quasi priva di genere.

4 – Molti dei tuoi testi sono tradotti all’estero, e sei spesso fuori dall’Italia per lavoro. Hai notato differenze significative nell’uso del maschile e del femminile nelle altre lingue, o comunque un approccio diverso alle questioni di genere nelle altre culture? C’è un caso\episodio in particolare che ti ha colpita?

Nei paesi arabi o in Africa (dove però non ho avuto alcuna esperienza diretta) la situazione è molto diversa. La storia recente testimonia di donne costrette all’esilio, se non addirittura uccise, a causa del pensiero espresso in poesia. In questi paesi la poesia non è un esercizio letterario, ma è attiva, agisce nelle vite e nei corpi delle persone come in Italia – e nella maggior parte dell’Europa – non fa più da quasi un secolo. Un esempio per tutte: la storia dell’iraniana Forough Farrokzhad, addirittura privata del figlio perché aveva chiesto il divorzio ed era stata per ciò considerata una madre indegna, mentre era una madre che combatteva, a parole e con immagini cinematografiche, per la libertà di tutte.

5 – Ti muovi da sempre su più generi: poesia, romanzo, saggistica. Quando passi dalla poesia alla prosa guardi al genere grammaticale in modo diverso, con maggiore o minore attenzione? La poesia secondo te è più ‘neutra’ o non lo è mai, in nessuna forma espressiva o comunicativa?

È una domanda che mi sono posta un’infinità di volte. Personalmente, penso al (mio) stare nel mondo senza confini. Mi auguro che, fin nelle sue profondità misteriose e inconsapevoli, questa affermazione derivi da una felice percezione comunitaria dell’esistente, che casualmente mi include, e che questa percezione non sia la maschera più socialmente accettabile di una sindrome narcisistica, il così detto “narcisismo empatico”. Pur tenendo sempre accesa una spia su questa eventualità, credo che la poesia non sia solo un’espressione artistica verbale, ma una postura, un sentimento del mondo che mille e mille poeti prima di me hanno espresso. Il mondo inteso come una circolazione collettiva. Questa posizione interiore si applica allo stesso modo e con la medesima profondità a ognuna delle espressioni verbali e artistiche, così come all’arte della cucina o del fare pulizia. Alcune volte è necessario assumere una voce biografica, dunque – nel mio caso – femminile, per avvalorare l’esperienza (e torniamo all’origine puntualmente psichica e corporea cui accennavo nella prima risposta), ma il ronzio di fondo della scrittura è solo questa indagine felice nelle cose che non sono chi scrive. Chi scrive diventa le cose che non è, per il tanto che dura la scrittura. E dunque uomo, donna, gatto, mela. Topo?

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