Il delitto di via Poma (Armando 2020)
in Igor Patruno Il delitto di via Poma trent’anni dopo, Armando 2020
[…] Un lavoro davvero attento e scrupoloso che oltre ai tanti spunti inediti sul caso, consegna uno spaccato di quel tempo. A concludere il libro c’è poi una toccante poesia della scrittrice Maria Grazia Calandrone dedicata a Simonetta. (Giacomo Galanti, Huffington Post 26.7.20)
«Huffington Post» 6 agosto 2021: a conclusione dell’inchiesta di Giacomo Galanti su Simonetta Cesaroni, la poesia scritta e letta da MGCalandrone
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Sono passati quindici anni, da quando ho scritto la (mia) sola poesia dedicata a Simonetta Cesaroni. Grazie alla generosità di Igor Patruno, nell’ultimo mese ho letto le bozze del presente libro, i molti atti processuali da lui scansionati e ho visto foto della scena, del corpo. In questa cruda luce, continuo.
Camera Oscura
«Bastava un taglietto sul dito, per terrorizzarla. Veniva da me, con l’aria preoccupata: oddio mamma, mi esce il sangue!»
deposizione di Anna Di Giambattista, madre di Simonetta Cesaroni
Nessuno perde tempo a sistemare le scarpe, mentre vive un incontro passionale. Nessuno
va a posarle, appaiate, sul fondo della stanza. La posizione delle scarpe dice
che la ragazza, mentre le toglie, prova
paura. Impronte
rosacee nastriformi e velatura ematica
sul decoro borghese dei pavimenti, a losanghe. La posizione delle scarpe dice
che la ragazza, dopo essersi levata
il corpetto, vuole riesaminare
la situazione. Tapparelle abbassate, nella stanza campale. La ragazza
va ad appoggiarsi all’angolo in fondo, oltre la scrivania dirigenziale. È lo spigolo d’angolo del palazzo e la ragazza è
in piedi contro esso, spalle al muro, come quando i bambini
hanno paura. Sulla porta, colature vistose.
Tiene tutta la stanza nello sguardo, mentre slega le scarpe e le sfila
con la punta del piede. Uno scenario in fòrmica, plastica
e finta pelle. La distanza che i fatti raccontano
conflagra con l’amore, che muterebbe i corpi in fragorosi
affluenti. Il sangue
è un tessuto fluido. Gli esseri umani sono colpiti dall’odore.
Le scarpe restano dove le ha tolte. La ragazza indossava sempre
tutti i suoi gioiellini, per uscire. La ragazza
manifestava un adeguato livello di consapevolezza
di quanto poteva aspettarsi dal mondo. Certo non quelle povere scarpe
da bambina, rimaste vuote, azzurre, impunturate
d’arancio come un crepuscolo di mezza estate. La ragazza dormiva sul divano
in un soggiorno di Cinecittà. La ragazza
sperava in qualcosa. Il corpo parla lingue non comuni.
La morte è un lento divenire morti. Permane
una continuazione, disordinata
e parziale, del metabolismo, spiega
l’anatomopatologo. «Ma si tratta di gruppi cellulari, l’individuo
si perde subito». Dunque, questa
è la morte, questo sciogliersi della relazione tra gli elementi
che ci compongono. Sei rimasta così, disseminata e priva
di armonia. Un gemizio di linfa cicatriziale
dice che il corpo, pure sotto i colpi,
tentava di richiudersi. Parevi interamente soddisfatta
dell’incombenza di vivere
e sei rimasta come ti hanno messa. Ciascun tessuto
solo, nella sua tragica volontà di esistere. La materia di cui eravamo fatti
vive più a lungo dell’identità. Oh corpo, corpo!
corpo nostro, e di tutti. Oh, vita! breve traccia di splendore
che residua, nello specchio di sangue. Quello,
dopo aver dissipato la tua intera
vita, ha buttato via pure la giacchetta, che ti eri comprata
sul Postal Market. Oscenità
su oscenità, delitto
su delitto.
Dopo aver indugiato nella deposizione
delle scarpe, mi riavvicino. Tengo
i pantaloni. Mi abbassa il reggiseno, mi fa male. Causa, a sinistra, un’escoriazione
non figurata, senza arcata opponente. Non si tratta di morso. La mia sinistra
lo afferra, per staccare da me
il dolore. La mia mano protegge
il mio lato ferito. Quello, però, mi blocca. Sulla mia mano, restano i lividi della sua presa.
Quando leva la faccia, Esso
è il neutro, senza maschera umana. Esso male, Esso vuoto, che finirà solo
con la mia fine. Manrovescio
sulla mia guancia destra, pugno all’occhio
sinistro. Sono in piedi. Colpita
la prima volta, cado
dall’alto, sbatto la testa sul fermaglio, che si fracassa e attenua
il colpo che sopporta
la mia scatola cranica. Mentre cado, Esso afferra qualcosa. Caso?
destino, premeditazione, chi ha messo l’arma
sopra la scrivania dirigenziale?
Sono stordita e tento di rialzarmi. Esso
incombe, mi posa
la sbarra del suo avambraccio
sinistro sopra il collo, causando il livido anteriore, pesa
sulla mia gola col massiccio
del corpo, faccia
su faccia e con la destra, come per caso armata, prende a ferirmi
al volto, in mezzo agli occhi, massimamente
l’occhio sinistro, dal lato della mano che colpisce, mentre mi stringe i fianchi coi ginocchi.
Vuole che io non veda quello che ormai
ho visto. Il ridicolo niente che cova
nel Granduomo. Il rospo gonfio
di solitudine e boria. Annaspo
con le braccia, ma ho capito che non avrò tempo
da viva, per difendermi ancora. Braccia e mani non recano
le consuete lesioni da difesa. Il mio corpo è colpito in progressione
discendente. Dal mio collo
si leva, mi trapassa la gola
da parte a parte. Poi, nel petto, più volte. Lacera pantaloni e mutandine. Ormai, vedo da fuori. L’evento morte si è perfezionato in tempi rapidi. Noto uno di quei dettagli che tolgono l’attenzione dallo strazio: i miei calzini, immacolati
e tesi. Calzini che hanno camminato poco. Penso che, se mi avesse sfilato i pantacollant, i calzini sarebbero venuti via. Un pensiero che faccio, per fingere
che questa sia ancora
la vita. Vedo
che continua a colpire, più in basso. Esso vuole
cancellarmi. Neanche un filamento di tessuto
resta, nelle ferite. Per ironia del caso, non sento niente, proprio nessuno dei suoi colpi al ventre. Vedo che il corpo a terra non è più mio. Cosa insisti, relitto, a che ti aggrappi? Non ti sento. Io, non ho più paura. Vedo il dolore di tutti.
E vedo che alla fine mi ricopri, col corpetto che mi ha cucito mamma. Forse, quando mi copri, sei tornato, forse mi vuoi restituire il gesto
che ho compiuto, togliendolo. Il solo gesto
che ti resta, di me. Tutto il resto che hai preso, non è tuo.
I pulitori non avranno tempo di occultarmi, perché i miei amori chiedono di me. Eccomi. Simonetta.
Stata al mondo vent’anni. Morta
dove sono caduta, per mano d’uomo. Un’aureola di sangue intorno al capo.
Roma, 19 giugno 2020
guarda la diretta La notte del mistero (Florence International Radio 8.10.20)
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