Pietra di paragone (Tracce, 1998)
grasse, con le mani ai ginocchi
fra queste nuvole, e i soffi nella memoria
del nostro treno fermo nella pioggia
dentro un mare di rovo – che è il giorno
che si ricopre ancora senza il tuo viso
afflitto e paziente -: un locale
a metà fra lo sgretolarsi della terra
e la tensione del cielo
di resurrezione, tutto lagni
e strappi, e sbuffi
molli come grembiali… aspetta: se mi siedo a cuore aperto,
la tua e la mia ombra: senti?,
le rompe un suono di bambini veri
fontana muta *
I
saresti necessaria, ma tu già vuoi essere
morta, e più
io ti rifabrico, più cedi: sabbia
nel fuoco che già tutta ti separa,
e, sopra tutto: il centro,
vuotato nello spreco
di un’infantilità che ti stacca
dal fondo del paesaggio: come una decidua
tardiva
II
nella profondità del giardino
quel pomeriggio trovammo un poco d’aria in cui sedere
lontane dalla disfatta del chiuso, ricordi?: una panchina
sotto qualche fiorito
ramo d’estate, e grida
raso terra di rondini, e bambini alle corde, e fontanelle
filanti, e cancellate
strade dall’erba alta del tuo riso: furono le celate
strette sulla mappa di questa morte che ora come un codice
antico, dal profondo del tuo
viso: riaffiora: come un secondo viso, su cui tendi – come
la madre che non vedesti, o che non fosti
più -: viva:
la curva del labbro, a cancellarlo, mentre ti cancella: piano…
– che sia: piano… -,
come uno di quei lividi fiori
di umido che notte dopo notte: smangiano
i vecchi muri
* “Fontana muta” è il titolo di un’antica canzone siciliana che ho conosciuto nella mia infanzia, cantata dalla madre di mia madre
Domenico Adriano in “Avvenimenti”, 2 maggio 1999
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