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15 ottobre 2011, gli incappucciati a Piazza San Giovanni

Dopo la riunione di stamattina a “il manifesto” sono tornata a casa per pranzare con i miei bambini e ho salutato alcuni di noi che si stavano dirigendo al luogo del nostro appuntamento comune con la promessa di ricongiungerci di lì a poco. Dopo pranzo sono scesa verso Piazza San Giovanni con mio figlio per poi muovermi verso Via Cavour dove si trovavano i nostri. C’erano già stati i primi atti vandalici proprio in Via Cavour e dunque sotto la statua in Piazza San Giovanni una ragazza con il megafono, in piedi accanto a un cartello con la dicitura “apartitici”, esortava una piccola folla a rimanere seduta in silenzio per due minuti per dimostrare il proprio pacifico dissenso dai gesti di violenza appena avvenuti. Noi abbiamo proseguito dirigendoci verso Via Emanuele Filiberto, dalla quale continuava a provenire un fiume ordinato di persone. A un tratto abbiamo visto alcuni incappucciati venirci contro (e dunque alle spalle dei manifestanti) correndo con i pali dei cartelli stradali tenuti in orizzontale. Siamo fuggiti disordinatamente in massa verso le strade laterali, noi in via Biancamano, dove siamo stati inseguiti da alcuni individui con i caschi neri in testa e i maleppeggio in mano che ogni tanto sotto gli occhi di tutti si fermavano per dare fuoco ai cassonetti o rovesciarli e che hanno spaccato il bancomat e la vetrina della filiale di Intesa San Paolo, ovviamente sordi al nostro (urlato, il mio e quello di altri) disaccordo e anzi alla nostra rabbia per la manifestazione che stava andando letteralmente in fumo. Basta, basta! Infatti alle nostre spalle infittiva l’asprezza dei lacrimogeni e si sentivano esplosioni ripetute e ravvicinate. Tutti urlavano “prendete i bambini e scappate!”, io mandavo messaggi di raccomandazione agli amici perché non scendessero verso San Giovanni, piazza ormai sotto assedio e loro mi rispondevano di essere infatti rimasti bloccati al Colosseo a causa dei disordini. Ho risentito la puzza dei lacrimogeni ma non piangevo solo per quello. Che qualcuno se può mi spieghi il senso di cose come: inseguire genitori che si tirano dietro per la mano bambini spaventati. Ce n’erano tanti. Genitori e bambini in un bel giorno di sole a lottare per il futuro di tutti. Ma la domanda è retorica, è ovvio. Questa violenza organizzata non suona come un’azione politica se non scivolando lungo la china della politica della paura che si diceva recentemente a proposito dei fatti della Biblioteca Nazionale. Eppure, abbiamo tutti la sensazione chiara che nessuno tornerà a barricarsi nell’isola domestica tappando le finestre con il clamore oppiaceo del Drive In. Il capitalismo ha mostrato la sua faccia di vampiro e le persone non hanno neanche più sangue da dare o protestano la legittima proprietà di quel poco che è rimasto loro. Di fronte a questa violenza è un dovere continuare a crescere i nostri ragazzi dicendo loro che la cultura aiuta a decifrare il mondo: a essere critici, a essere liberi. Forse è poco, ma è vero. E forse salverà il futuro da equazioni clamorosamente equivoche quali violenza uguale libertà.
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