Il mondo di MGC (BOOKSHOP, 2010)
intervista di Anna Ardissone
Quando e come è nato il suo incontro con la Poesia e quali sono state le sue letture di formazione?
L’ho incontrata in quinto ginnasio. La stanchezza della quarta ora e all’improvviso: lei, sotto forma del Notturno di Alcmane. In quelle parole c’era destino. Il destino occorre “dimostrarlo”, più che descriverlo, quando lo incontri è una elettrizzazione del corpo. Mi sono sentita d’improvviso riportata a casa. Dunque direi di avere cominciato dai lirici greci, che ritengo tutt’ora inarrivabili per purezza, e di avere continuato a replicare questa bella domesticità poetica leggendo poi con furia e stupore Rilke e Pasternak.
Di lei è stato scritto che non si cura della essenzialità espressiva ma sceglie un registro quasi epico, narrativo, denso di considerazioni e allusioni, un testo-fiume che vuole scorrere come un poema recitato con la stessa intensità dall’inizio alla fine. Dove trae la sua fonte di ispirazione?
Ovunque. Ai fini della poesia non distinguo tra materia pura e impura: per la poesia ogni scenario, interno o esteriore, è occasione di gioia. Dunque a “ispirarmi” può essere la poesia altrui o un panorama scappato via dal finestrino di un treno o il bisogno di luce durante un dolore o anche nella passività apparente della ricezione di un programma tv d’improvviso può illuminarsi qualcosa. È come l’accensione di una miccia. Credo che a fare fuoco sia l’improvviso offrirsi di una nudità, di una non-convenzionalità.
Come nasce in lei l’idea di un libro? Nasce come progetto (cioè: prima le fondamenta, il piano delle stanze, le pareti, il tetto, ecc.), oppure la piena consapevolezza del libro le arriva quando esso in pratica già esiste, dopo che le poesie sono state scritte?
Scrivo cercando di intuire la direzione grazie a testi che si presentano subito come pietre miliari, ovvero testi dove lo stream trova un chiaro punto di intersezione con il mondo. Così a poco a poco mi diventa evidente il canto fermo e da allora l’opera si struttura intorno a uno o più nodi di sviluppo, intorno a una o più parole-cardine che formano la griglia di sostegno o una rete flessibile. Tutto il resto, vorrei che volasse o che le parole ci saltassero sopra come i saltimbanchi rilkiani, perché amo che chi legge eserciti la sua piena libertà di interprete.
Che rapporto c’è tra la spiritualità e la sua Poesia?
La poesia è atto contrario al buon senso e alla buona salute dunque alle leggi del commercio. Deve essere per forza un atto spirituale. O quanto meno etico.
Qual è il ruolo della Poesia oggi? Deve essere impegnata con la vita, o al poeta può bastare l’impegno con la sua arte? La realtà contemporanea (sociale, politica…) in che modo s’inserisce nel suo percorso poetico?
Come detto poco fa, stiamo parlando di un gesto morale. Non credo alla poesia ideologica dunque non ritengo che essa debba assolvere a precisi doveri sociali di denuncia o di propaganda (semplicemente perché la poesia ideologica tranne rare eccezioni è brutta), ma è evidente che il poeta venga modificato nella lingua dal mondo e che la lingua è il suo modo nativo di essere al mondo. Credo dunque che per questo mezzo un poeta avverta prima di altri le dissonanze e gli allarmi, che sia un essere in stato di veglia perenne, attento dell’attenzione che è dilatamento del perimetro-io. Così, la poesia è inevitabilmente politica. A volte anche i suoi contenuti danno alla politica la dignità della parola e della memoria. Penso, ad esempio, ai molti testi sul tema della migranza e delle morti sul lavoro che da ultimo si stanno scrivendo in Italia.
Per ragioni di lavoro, lei legge molta Poesia contemporanea. Come valuta il panorama nazionale? Quali sono le sue tendenze, le sue linee di forza?
Credo che la poesia – almeno a leggere quella dei nostri grandi – stia evolvendo verso la nudità dell’umano, stia oltrepassando il concetto di letteratura come è stato inteso fino a oggi per esporre la prassi della vita: ma con gli occhi di chi sente appunto il destino, la contemporaneità storica e i suoi mutamenti, anche impercettibili.
Cosa si prova ad essere letti invece che a leggere le proprie poesie?
Lo spaesamento che si prova a sedersi alla propria scrivania dopo che un altro ha imposto su quella superficie conosciuta una diversa razionalità. Spaesamento che può essere arricchimento o impoverimento, dipende da quanto profondo sia l’interprete. Quando la ricchezza di un’altra persona si somma alle proprie parole si ha la certezza di un contatto emotivo tra alieni ed è cosa che apre e rende felici.
Qual è il modo migliore per avvicinare i giovani alla Poesia?
Leggergliela. Senza troppo appesantirla con note critiche e spiegazioni a priori, ma fare semplicemente viaggiare da bocca a orecchio la bellezza delle parole – che sono oggetti molto saporiti – e la musica del testo: non dico musicalità, ritmo, sonorità, dico: musica. La poesia, quando è poesia, è attualità, modernità (o post-postmodernità) che risponde di sé.
Si può educare il pubblico alla Poesia?
Questa domanda immagino sia suggerita dal pre-concetto che la poesia abbia una utilità. Io non ne sono affatto certa, ma credo che la malattia si contragga per contagio più che per educazione!
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