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LEGGERE TUTTI n. 47 (4.10)

ALLA COMPASSIONE DI TUTTI di Maria Grazia Calandrone
(a cura di Ennio Cavalli)

Milano, 16 giugno 1965: Lucia Galante, ventinove anni, si reca in Comune per richiedere il certificato di nascita della sua unica figlia, di mesi 8.

La donna è moglie di un agricoltore molisano al quale sette anni prima è stata data in sposa per esclusiva volontà dei genitori, che vollero con quel matrimonio unire proprietà confinanti, e da mesi è concubina del cinquantaseienne Giuseppe Di Pietro, a sua volta sposato e padre di cinque figli. Nell’Italia di quegli anni il divorzio non è previsto dalla legge e la donna è stata denunciata, con diritto, per adulterio dal marito, un uomo bello e violento che lei non è mai riuscita ad amare.

Roma, Villa Borghese, giovedì 24 giugno 1965, ore 15.30: il signor Ivo Micucci rinviene una neonata seduta tranquillamente su un piccolo plaid rosa accanto a una bambola di plastica in un prato tagliato dal viale che egli sta percorrendo, Viale Washington. Verrà ricostruito successivamente dall’uomo che, appena egli si sarà chinato per raccogliere la bimba, una figura femminile che sostava nei pressi si sarebbe allontanata in gran fretta. L’uomo porta la neonata nella caffetteria del proprio posto di lavoro, dove si stava in effetti recando: Villa Lubin, sede del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. La piccola viene intravista succhiare lieta da un improvvisato biberon da molti dei conferenzieri, tra i quali il deputato del Partito Comunista Italiano Giacomo Calandrone.

Venerdì 25 giugno, ore 10.00: alla redazione del giornale “L’Unità” arriva una busta spedita da Roma Ferrovia contenente il su detto certificato di nascita e questa lettera: “La bambina trovata a Villa Borghese si chiama Greco Maria Grazia, Nata a Milano il giorno 15 ottobre 1965 . L’ho abbandonata in Roma Perché il mio amico non aveva possibilità finanziarie da sostenerla e mio marito cioè suo padre diceva che non era sua. Trovandomi in condizioni disperate, Non ho scelto altro che la strada di lasciare mia figlia alla compassione di tutti, ed io con il mio amico pagheremo ciò che abbiamo fatto, o, indovinato, o, sbagliato. Galante Lucia in Greco”.

La polizia viene allertata immediatamente, vengono diffusi fonogrammi in tutte le centrali per rintracciare la coppia, già ricercata per adulterio. Tutti i giornali strillano molto intorno alla vicenda.

La maestosa Mina è stata da poco riammessa in R.A.I. dopo l’espulsione che dovette subire per il fatto di avere concepito il suo primo bambino con un uomo sposato, Corrado Pani. Grande è stata la solidarietà del suo pubblico.

Lunedì 28 “L’Unità” titola ancora “Introvabile la madre della bimba abbandonata”.

Non era ancora giunta in redazione la notizia che domenica 27 giugno 1965 il lauto fiume romano, all’altezza del Lungotevere degli Inventori, avesse restituito il corpo di una donna senza documenti. Indossava un prendisole (comprendo senza alcuna ironia che, quandanche gli eventi spingano malauguratamente la donna a meditare il suicidio per acqua, pure in quella occasione ella abbia il dovere di non rinunciare al proprio decoro e dunque si abbigli per il suicidio indossando sotto gli abiti non già la sottilissima biancheria intima femminile, fonte certa di trasparenze equivoche e di involontari rimandi nella mente dei malcapitati scopritori a immagini da film softcore, bensì il ben più morigerato e onesto costume da bagno, che mantenga il già sconvolto pescatore nel cordoglio che merita la circostanza), la sottoveste avana, un vestitino marrone a fiori e la fede.

Lunedì 28 giugno vengono anche rimossi alcuni bagagli abbandonati in Piazza della Repubblica dal giovedì precedente: una valigia di vilpelle verde scuro contenente pochi abiti da uomo e da donna, una rete di nylon con pannolini e giocattoli, una borsa da uomo in pelle di foca colma di certificati di lavoro e documenti tra i quali la patente di Giuseppe Di Pietro e infine una borsetta a due manici in finta pelle nera contenente la carta d’identità di Lucia Galante, un borsellino con dentro 20 lire del 1958, un orologino, una collana, una spilla e due paia di orecchini d’oro – un paio dei quali con relativa scatola da gioielliere  –, una catenina da battesimo con crocefisso, un tubetto quasi intero di dentifricio Colgate, una confezione di collirio Stilla nella quale il collirio è stato cambiato dagli anni in una pietrolina ovoidale azzurra di circa due millimetri, il bugiardino ripiegato con cura del colluttorio Forhans, i guanti bianchi da sposa e una confezione rotonda di crema Nivea dove la stagnola riporta una leggera piegatura anomala e conservante a tutt’oggi l’impronta di un indice destro e la relativa strisciata a semicerchio sulla latta del fondo.

Tutte le donne prendono la crema per le mani con lo stesso gesto.

I giornali del martedì pubblicano la notizia del ritrovamento del corpo e dei bagagli con i documenti e insieme a queste notizie divulgano la foto di una donna molto bella e terribilmente franca. Si tratta con tutta evidenza di una irriducibile. Si tratta di una donna che ha certamente e senza alcuna fretta preparato se stessa così come ho voluto mettere in parentesi. Viene anzi da pensare che Lucia Galante abbia acquistato il costume per l’occasione, giacché pare improbabile che una contadina del montuoso entroterra molisano vantasse una pregressa confidenza con il mare.

Anche Giuseppe Di Pietro è un uomo bello, dal viso allungato e aperto, con la fronte ampia e i capelli mossi, un accenno di sorriso sereno sulla bocca e negli occhi, chiari. Sembra un uomo dolce e sicuro di sé.

Nella stessa giornata di martedì 29, la Polizia Fluviale ripesca il corpo di un uomo anch’egli privo di documenti, al quale sono rimasti addosso solo un paio di pantaloni blu a righe e nella tasca destra conserva un fazzoletto e tre cravatte. A lei mancavano solamente le scarpe. “Sono uniti ora nelle celle frigorifere dell’obitorio”, viene scritto.

Ma i familiari di Giuseppe Di Pietro non riconosceranno in quel corpo Giuseppe Di Pietro.

Consideriamo, nell’apprendere questa notizia, il numero dei giorni di permanenza in acqua di quel corpo e le modifiche, imprevedibili per un occhio non allenato, che esso può avere subito.

Consideriamo l’attesa di un ritorno, che la moglie ha voluto serbarsi per tutta la vita.

Nient’altro sul corpo di lui. Nessun’altra notizia. Nessun ritrovamento. Né il ritorno, mai più.

Gli unici due parenti maschi di Lucia Galante, il padre e il fratello minore, quasi un ragazzino, convocati dalla Polizia, dopo avere riconosciuto il corpo della congiunta, ripartono diretti alle proprie colline colmi di disonore e di lutto e in compagnia della salma, ma senza aver voluto vedere la “figlia del peccato”. Sono uomini d’onore, cuori umani costretti nelle gabbie più che i falchi, e silenziosi molto più che i falchi. Intanto all’Istituto Provinciale per l’Assistenza all’Infanzia di Villa Pamphili arrivano telefonate, doni e lettere di aspiranti genitori da tutta Italia.

“Oggi” del 15 luglio successivo, a firma Stefano Giordani, titola con non trascurabile sensibilità: “Maria Grazia non sa che la sua mamma si è uccisa per lei” e prosegue: “Da quando è stata trovata abbandonata, Maria Grazia è al centro di una toccante gara di solidarietà umana. ‘È una bambina molto bella’ dice il professor Stefano Moschini, vicedirettore dell’Istituto, ‘sorride a tutti, non ha mai pianto, non ha rivelato traumi per il cambiamento d’ambiente al quale è stata bruscamente sottoposta. Prima ancora che la lettera della madre ci indicasse la sua data di nascita, avevamo già stabilito, da diversi fattori, che doveva avere intorno agli otto mesi; ma da un punto di vista psichico direi che dimostra dieci mesi – un anno. È vivace, intelligente. Denota di essere vissuta in un ambiente familiare sereno, si capisce che la madre ha fatto l’impossibile perché la bambina non fosse toccata dal dramma che stava sconvolgendo la sua vita e che avrebbe avuto la sua tragica conclusione con il suicidio nel Tevere. E c’è riuscita, per uno di quei miracoli che soltanto le madri sanno compiere. Nella lettera che la donna ha scritto prima di morire, c’è anche un accenno al fatto che né lei né il suo amico potevano più provvedere ai bisogni della bimba, ma fino all’ultimo alla piccola non è mancato niente: è in perfette condizioni di salute, sana e ben nutrita. È una bambina intorno alla quale c’è sempre stato un grande affetto, è stata coccolata, insomma: lo si comprende dal fatto che spesso vuole essere presa in braccio. Non lo fa per capriccio, ma per un desiderio divenuto naturale per l’abitudine’”.

1 febbraio 2010

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