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Castiglione Davide (11.15)

 Davide CASTIGLIONE, Le bolle azzurre
“Poesia” n. 309, novembre 2015

Con Le bolle azzurre di Davide Castiglione ci troviamo immersi dapprima in un mondo infantile, il tono del quale – ironico, vitale e stupito sul mondo – viene mantenuto fino alla fine. E questi sono il pregio e il privilegio dello sguardo che qui viene posato.

Utilizziamo la descrizione fenomenologica della bolla di sapone dell’esergo in funzione metaforica: la bolla è una pellicola, fragilissima, che contiene qualcosa di invisibile, che però la sostiene. Fragilità e invisibilità sono attributi di due elementi che esistono ai limiti del percepibile, in forma apparentemente miracolosa. Possiamo dire che lo stato di stupore di Castiglione (rappresentato dalla bolla iridescente, che separa un tempo interno da uno esterno a sé) contiene un elemento invisibile nella sfera della sua persona temporale adulta: un tempo diverso, che la vita dell’uomo maturo serba in sé e sostiene a mezz’aria, nella propria identità e nella propria memoria.

Oppure, la bolla azzurra è tutta la persona?: l’io biografico – trattenuto da un elemento impalpabile e lieve dal pericolo dell’indifferenziazione con il più grande io dell’esistente.

Affrontiamo daccapo la silloge con questa domanda nella mente – e comprendiamo che, al principio, una bolla non è in effetti che una bolla infantile, un gioco, applaudito da un padre che vezzeggia, come lo è l’elevazione dell’edilizia minima costituita dai mattoncini lego – fin che l’arco della serie poetica si spegne nel possessivo profondo “non può non essere / mia profondamente”, che chiosa una struttura divenuta progressivamente più complessa. Possiamo allora pensare la silloge come una presa diretta a posteriori (ma diretta, grazie al trasloco spaziotemporale che fa la poesia) su un primo arco di vita. Ciò vale per lo stile e per i contenuti, i quali si approfondiscono e complicano, contemporaneamente: l’ingresso nella preadolescenza è parallelo all’approfondirsi del pensiero, in questa sorta di mini-biografia in versi, composta da una breve sequenza di scene cardinali e sdrammatizzate da uno stile, appunto, da bolla azzurra: infantile ma pieno, talvolta, di un più adulto sarcasmo.

Ecco quindi la lezione di nuoto, con la mappa stellare di riflettori che si dispiegano sopra il pelo dell’acqua – e il non conoscersi – ecco la contemplazione della crudeltà ingovernabile del caso, durante l’estrazione dei numeri del lotto, opera per la quale “ la manina / si voleva innocente” – ed ecco la nota popolazione scolastica di incisori di banchi. Ci troviamo davanti a momenti cruciali e minimi di un’esistenza che procede per così dire normalmente, altrettanto normalmente interrogandosi su se stessa e sulla propria solitudine. Il progressivo straniamento del linguaggio accompagna infatti la sensazione di estraneità dell’adolescenza, il suo tuffo in un mare che sembra tanto nuovo e ci fa navigare a corpo nudo verso quanto avverrà ancora dopo: il contatto conoscitivo con il proprio essere esclusivamente se stessi. Sarà anch’essa una boa da superare, per volgere di nuovo verso altro (e altri) – ma questa perdita della totipotenza infantile è un passaggio necessario per diventare uomini. Questo essere a un tratto soltanto se stessi. Quando la vita prende la sua forma, diventa quell’unica, esatta, specifica vita biografica. È una perdita ed è un’acquisizione.

Se questo è l’ordine di pensieri che Le bolle azzurre ci induce a pensare, comprendiamo che la piccola storia umana qui raccontata riassume qualcosa di più grande, anche nei suoi episodi minimi: la zia che, tornata dal lavoro, riprende i ragazzini troppo vicini allo schermo, sta a rappresentare la realtà tridimensionale che irrompe nell’incantamento “Il programma è io immerso nel divano / (a ciascuna età / la profondità che le compete)” della realtà virtuale – dei videogiochi, degli schermi di computer e televisivi. Diciamo allora che, crescendo, le bolle dell’infanzia, azzurre e fatte di materia, diventano le “celle azzurre” delle finestre, illuminate dalla luce interiore delle televisioni – o dei rettangoli sempre più slim degli schermi, che lavorano a svegliare il desiderio nei confronti di corpi puntiformi, meri agglomerati di pixel. Ma questa descrizione è una trascrizione, priva di giudizio. Sussiste in essa solo la lieve, ironica malinconia di chi sta, trasportato, nella mutazione del mondo e del suo mondo, sotto la forma sferica di una bolla intima che ha iniziato ad assumere angoli – e spigoli di sedie. Così si sta, ospiti. E ospiti di ospiti, nel cambiamento del mondo – nella vita che in sé ci fa vivere.

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