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Agustoni Nadia Alba (3.16)

Nadia Alba AGUSTONI, Terrai la morte con farfalle
“Poesia” n. 313, marzo 2016

“e un grano lungo alto come il sangue:”, scrive Nadia Alba Agustoni nel paragrafo Terrai la morte con farfalle, tratto da Racconto, in uscita imminente per Aragno e contenuto in questa silloge, composta da due parti, la prima delle quali ha titolo necrologi e ci presenta 10 brevi prose liriche, numerate, di argomento industriale.

Agustoni espone la propria vita di operaia declinata al maschile, che guarda al lavoro in fabbrica con occhi neutrali di poeta e ne ricava frammenti di parole incomunicanti, mescolate al rumore della macchine, nel tempo di un’alba fredda e nebbiosa, popolata da ipotetici morti e reali conigli che, impauriti, attraversano la strada davanti all’automobile che porta al lavoro; ne ricava la fretta e insieme l’esattezza, l’attenzione richiesta, il rigore degli orari sui cartellini d’ingresso, una seconda forma di gelo umano, anche una forma di rassicurazione. Velocità e precisione. Tempo scandito. Uguale. Le giornate trascorrono ordinate da un ordine esteriore, dettato da necessità produttive. Ma, all’interno dei corpi, dovrebbe pulsare la vita parallela e disordinata dei sentimenti. Non pare essere così: le impressioni che Agustoni trascrive sulla pagina sono tutte percezioni acquisite da organi di senso, dati fisici e concreti: come se l’interiorità fosse sospesa, per il tempo che dura il lavoro.

Queste piccole schede neutrali sono bellissime. I resoconti di Agustoni, apparentemente freddi e che apparentemente non prendono posizione e si mantengono equilibrati e imparziali, dicono infatti che: anche chi vive di parole in fabbrica è nudo corpo, mera entità fisica che registra soltanto quel che tocca, annusa e vede. Corpo che fatica e prova fame e si sfama e riposa. Dev’esserci del conforto, in questo essere esclusivamente corpo che lavora: non c’è violenza, qui, non c’è accusa, traspare anzi una quiete, la dignitosa quiete dell’umano il cui organismo è macchina di calore e movimento e sensi, tra le macchine in ferro. Dev’esserci del conforto, dove e quando la complessa comunicazione umana è interrotta: la sola parola che si riesce ad ascoltare integralmente – e che dunque ci viene riferita è: “no”.

Da una parte c’è l’essere umano, l’inclassificabile – e dall’altra il lavoro, un rassicurante catalogo di dati reali.

L’inquietudine umana emerge però nella seconda parte della silloge, Terrai la morte con farfalle. Eccovi l’uomo fuori dal lavoro, l’uomo nudo e intero, non solo il nudo corpo che fatica.

E l’uomo è la creatura che osserva il grano e, come abbiamo detto, lo associa all’altezza del sangue – che osserva il cielo e scrive “il cielo che esiste col dolore tra gli uccelli e il volo”. In Terrai la morte con farfalle Agustoni non si limita a esaminare e trascrivere eventi, ma li associa a un vissuto interiore, mette all’opera fantasia ed esperienza, per decifrare il mondo e comprenderlo, ci restituisce gli oggetti, gli avvenimenti e lo spettacolo esterno passato al filtro del proprio mondo interno.

Ogni volta che un poeta mette in scena il mondo, comprendiamo bene come lo spettacolo apparentemente oggettivo non sia che un “vissuto”, un elenco di dati e percezioni rielaborati secondo l’esperienza biografica e biologica di ogni essere umano.

Quando avviene il miracolo del contatto, del dire a nome di tutti, avviene il miracolo della poesia. Poesia è quando il mondo che viene messo sulla pagina è riconoscibile per un altro. Più grande è il numero degli altri che riconoscono quel mondo, più grande è la poesia.

Non si tratta che di questo: con la nuda potenza delle parole la poesia fa rinascere un mondo che conosciamo già, evoca qualcosa che non sappiamo e non possiamo esprimere che con la poesia (e, mi sento di aggiungere, forse, con l’amore). La poesia ci riporta in una casa che abbiamo abitato, chissà dove e chissà quando, ci trasloca in un mondo dal quale proveniamo.

Qui, nella seconda parte della silloge di Agustoni, vengono nominati molti oggetti e molta natura, ma si tratta di immagini piene di slittamenti, di energia del pensiero e accostamenti umani. Eppure, se ne sentono l’obiettività paradossale e la necessità: le riconosciamo, le abbiamo già abitate.

E questo basta a farne una lettura che, pur inquietandoci con la sua schiera di apparizioni di figure miti che sembrano venire da un passato di guerra: ci consola, perché ci dice di un corale umano che ci osserva, conosce i nostri gesti quotidiani, guarda senza giudizio, come da lontano, come velato da una nostalgia e da un senso di esilio cui apparteniamo. E Agustoni, con la sua poesia, come già fece ben più duramente Caterina Saviane, associando farfalla a kamikaze, farà azzurro l’azzurro, assocerà la morte alle farfalle…

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