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Serie fossile (Satisfiction, 22.3.16)

SATISFICTION 22.3.16 – Serie fossile. Intervista di Gianluca Garrapa a Maria Grazia Calandrone

Vista: chiudo gli occhi per vedere / come vede / il ramo stroncato vedere, osservare, scrutare, guardare: quale verbo ritiene più adatto all’amore di Serie Fossile e perché?

vedere. vedere l’altro, accorgersi della sua esistenza e onorare ogni forma, espressiva e inespressiva, della sua esistenza. imparare ad amare anche l’abisso e l’oscurità della sua anima, anche la sua irrimediabile solitudine. la lezione d’amore più profonda è lasciare all’altro la sua visione di sé, lasciare che l’altro veda di sé quello che è in grado di vedere, la forma che di sé sa sopportare. e amare anche il suo limite, la sua finitezza e la sua finitudine. l’amore del quale parlo somiglia a un esercizio spirituale, a un vedere biologico, a una accettazione inorganica e però: attiva, accogliente come accogliente è il ramo nei confronti dell’aria che lo ha piegato – o divelto. occorre sporgersi sopra la vita dell’altro come il frutto si sporge nel silenzio, verso tutto quello che in lui dice sì. alla vita e alla morte. all’assoluto e al limite. senza menzogna. semplicemente perché è così.

Tatto: limpide cose fatte di ali / e ossa vuote, queste cose irrisorie e senza nome o cuore cosa è una cosa: che amore c’è tra la materia e la luce nella poesia di Serie Fossile?

c’è l’amore effusivo degli amanti che si compenetrano. c’è la materia che, toccata dalla luce, perde l’opacità delle superfici e si fa “lucente” e profonda. non in senso mistico, in senso carnale: carne che si fa cosa nella luce – e luce. sempre assumendo nella concretezza della lettera questi sostantivi: c’è la visione nitida di un biancore abbagliante che è il calor bianco dell’anima e della sua fusione con un’altra anima. c’è l’uscire da un corpo, che è caduto in se stesso così profondamente da toccare il suo punto in comune con l’umano – e si sente espulso da sé, dal suo particolare essere un corpo-limite. e  c’è il racconto imperfetto dell’esperienza. e c’è infine qualcuno che si sente in pericolo e rinnega, aggiusta il racconto del passato in modo funzionale al suo spavento e decide di non seguire più il dispiegarsi di un altro mondo: “poi dici la realtà mi è sufficiente”. e c’è l’assenso, il doloroso assenso a questo scioglimento delle mani. di nuovo: senza menzogna. con la saggezza di non avere più altra legge che l’abbandono.

Udito: un rumore di cose che si stanno facendo, la poesia di Serie Fossile suona: e cosa è invece il rumore delle cose?

il suono di fondo di Serie fossile ambirebbe a essere il rumore stesso delle cose. ovvero il rumore molecolare del mondo quando qualcosa in esso nasce o rinasce, il lavorìo profondo della materia al quale l’udito partecipa, in una compresenza panica e dantesca, da Vita Nova. è il grido di solitudine della materia che si spegne nella gioia di essere finalmente vista. “la madre è il nome dell’Altro che non lascia che la vita cada nel vuoto”, scrive Massimo Recalcati. “di quando cosa ch’è felice, cade”, chiosa invece Rilke. il suono di questo libro è il suono di una sospensione, prima di una caduta o di una non-caduta. quando c’è una caduta, si sente solo lo schiocco delle fauci del grande rettile velenoso, nel silenzio prestorico del dolore.

Odorato: la campagna: odore di vino e di terra bagnata: credi che debbano suscitare un odore le poesie di Serie Fossile?

oh, sì, dovrebbero. un odore di corpo umano. l’odore è pervasivo e violento: non possiamo difendercene, se non a prezzo della nostra stessa vita. noi non possiamo smettere di respirare. Serie fossile è pieno dell’odore del corpo: c’è l’odore del sangue e del sesso, ma c’è anche l’odore freddo e lieve degli astri, della loro frizione e sgretolamento, l’odore della legge di attrazione gravitazionale. ma solo aspirazioni naturali. nessun’altra struttura se non quella dell’anarchia amorosa, del corpo che ha retrogusto d’acqua e di menta. “quando arrivi si sente dall’odore”: di miele, di vino, di latte e di oro che batte sul petto il suo maglio metallico, il suo ciondolo fossile. un corallo che evoca il rosso e i rimbombi all’interno della cassa toracica. e l’odore vergine del futuro, al quale si consegna tutto questo. sperando.

Gusto: leccare la terra: la madre con la lingua / toglie la terra / dalla faccia al piccolo: la poesia ha più sapore letta o recitata?

ha due sapori diversi: se viene letta nel silenzio, ciascuno le attribuisce il gusto della propria lingua e della propria memoria associativa, il sapore singolare della propria biografia. se viene recitata, interviene il corpo, il quale, come scriveva Paola Febbraro, “ha sapore”. ogni corpo che parla, quando è esposto in pubblico, è forse troppo prossimo a se stesso. ma a volte avviene l’assunzione del gusto collettivo, ci si riveste della radiazione che emana dall’insieme dei corpi altrui, che ne formano uno, tutto nuovo. anche la poesia vorrebbe toglierci la terra dalla faccia, cicatrizzare l’urto delle nostre anime con gli oggetti taglienti del mondo, fare che il gusto del sangue si trasformi in memoria – e in esperienza.

Mi fa una domanda in forma di poesia?

ti chiedo un gesto più inutile di una parola. ma che faccia solo bene.

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