Quintiliani Matteo Maria (4.16)
Matteo Maria QUINTILIANI, Soggiorno inglese
“Poesia” n. 314, aprile 2016
Soggiorno inglese è il titolo della silloge di Matteo Quintiliani: l’argomento della raccolta, costellata da esatti toponimi è, coerentemente, un soggiorno in terra straniera. Questo dato iniziale ci permette di notare da subito come il corpo della poesia di Quintiliani sia chiaro ed esplicito. Chiaro di una chiarezza meditativa e profonda. L’autore offre infatti al nostro sguardo una poesia del quotidiano e della riflessione sui suoi micro (macro, per chi li vive: “ognuno crede speciale / il proprio lavoro quotidiano”) eventi, condotta con uno stile espositivo piano, da trattatello filosofico sull’umano condursi fra le cose del mondo. Tanta chiarezza serve però a sfondare la terza dimensione dell’evento (il tempo), proprio grazie al suo tono descrittivo, e dunque persuasivo. Poco dopo l’inizio della silloge, Quintiliani rivela l’elencazione come pura forma di conoscenza: un elenco di dati oggettivi e oggettuali potrebbe forse permettere di attenerci al reale e, dunque, di conoscerlo, come conosceremo Ventotene senza l’ostacolo per gli occhi delle due palme davanti alla finestra, che hanno ormai collassato – come una città: come noi stessi –, infestate dal punteruolo rosso. Qualcosa ci corrode dall’interno. Qualcosa ci divide: “che fu ancora possibile dividere la mente / in due parti bene distinte tra loro”.
Dedicatarie di questo attento lavorio del pensiero e dell’osservazione intelligente sono figure familiari, molto prossime nello spazio fisico del testo: una filiale (sebbene i bambini siano due) e l’altra, una donna dotata di mente pensante – o meglio, raziocinante: una mente nei confronti della quale si prova un misto di ammirazione e sconforto. La vita interiore dell’io lirico, all’apparenza confusa e contraddittoria, potrebbe trovare pace nell’assorbimento delle facoltà della mente arguta della dedicataria Manuela. Questa auspicata identificazione psicochimica viene favorita dal contatto con il corpo di lei, la cui mano viene infatti rapinosamente acciuffata nel sonno, perché questa entità umana che dorme accanto è comunque propensa a sfuggire – chi lo sa se per propria volontà o per la nota affezione umana di essere creature opache. Ma, come assecondando il principio fisico dei vasi comunicanti, fino a che io tengo stretta la tua mano, posso riuscire a pensare il mondo con i tuoi pensieri.
Quintiliani ci porta dunque in un suo mondo apparentemente minimo e privato, ma che il poeta – come sempre fanno i poeti – usa come exemplum per dirci cose alle quali chiunque legga ha avuto accesso. In questo caso, l’attraversamento del mistero dell’altro, in cerca di una comunicazione che favorisca la “realizzazione di uno scopo”. Perché – qui viene detto molto bene: “è come se mi togliessero / da questo sempre ripetitivo me-stesso”. Lo Swing Bridge, il ponte girevole che permette il passaggio alternato di navi e macchine, viene usato come metafora della flessibilità umana – ma anche di una perdita di orientamento, come lo è la giravolta del fiume, che pare tornare su se stesso: una sorta di uroburo acquatico che ci confonde. Il poeta è tediato dall’eterno inizio, dall’eterno indizio di essere noi stessi, circonflessi e involuti, ritornanti davvero come anse di fiume a un’infanzia che è il passato – anzi, meglio: il presente di altri esseri umani, che, esistendo, soppiantano il nostro esistere, secondo la naturale economia di sopportazione del pianeta: “ogni esistenza sostituisce un’altra esistenza, quasi la comprime” scrive Quintiliani, enunciando una sorta di paradigma di entropia esistenziale.
La seconda parte dell’intero è intitolata come l’ultima opera seria mozartiana e come il melodramma di Metastasio, dal quale l’opera è tratta: La clemenza di Tito (dove l’imperatore perdona chi ha congiurato contro di lui). Il poeta racconta di essere stato portato “dove lo scorrere dei minuti / ancora contava: / fra la musichetta settecentesca”: la musica orchestrale dà ordine al mondo e allo scorrere di questo tempo lirico e interiore altrove invertito, frammentario e confuso. L’essere umano Quintiliani scrive infatti come facendo ordine. La poesia, l’arte in genere – e ogni consolante formula del contatto umano, sono precisamente questo: il mistero della bellezza che nasce da un disastro, da una forse equivocata, antecedente lontananza.
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