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Frabotta Biancamaria, omaggio a (Poesia, 12.16)

 TERRA CONTIGUA (“Poesia” n. 321)

L’opera di Biancamaria Frabotta comincia con un gesto collettivo: la cura dell’antologia Donne in poesia, pubblicata da Savelli nel 1976.  

Questa istanza di socievolezza, questo rivolgersi ad altri e includere altri, è il gesto ripetuto nella sua scrittura: gesto che avviene, in parte, a causa dell’abitudine al mestiere di insegnante (il quale, naturalmente, viene scelto da personalità che si sentono inclini a comunicare un sapere), in parte grazie alla temperie sociale degli anni nei quali è avvenuta la sua formazione: i mitici Settanta. Che sia per ciò o per inclinazione caratteriale, la poesia di Frabotta si rivolge a un fuori di sé, non è certo poesia del ripiegamento, per quanto il suo stile non risulti mai “facile” e compiacente e sia, inoltre, orgogliosamente anticonformista, come è evidente dalla piccola autoantologia che lei stessa ci ha consegnato. Frabotta chiede impegno al suo lettore, gli chiede di affidarsi alla sua mano, per entrare in un mondo dai cieli alti e dagli sguardi ampi, dove le guide sono intelligenza e il fiero coraggio di sapere le cose, fino alla tentazione del pessimismo.

Il secondo tratto che distingue lo stile di Frabotta è, infatti, l’ironia, adoperata a volte come autosalvazione dalla malinconia, a volte in funzione teneramente canzonatoria, come quando scrive dei poeti come di pulci fastidiose, grilli parlanti, spine nel fianco del mondo dei vivi. L’inclinazione ironica ha finito per trovare il suo passo più affettivo, naturale e lieve nell’ultima prova, Risatelle, uscita quest’anno per Empiria: un dialogo in rima con il marito Brunello Tirozzi, un fisico che, dopo anni di frequentazione “passiva” di letture e beghe letterarie, ha voluto cimentarsi in prima persona con i versi, insinuando nella nostra poesia il proprio spirito concreto e scanzonato di scienziato.

Con quest’ultima faccia divertita si continua a costruire il poliedro della personalità poetica di Frabotta, già composto di passione politica, di riflessione filosofica (qui pensiamo in particolare a La viandanza, volume che raccoglie un nutrito bestiario simbolico di sedentari abitatori di fondali marini), di amore per la vita naturale (i momenti di maggiore emotività della poesia di Frabotta si rintracciano nella sua contemplazione, piana e diretta, delle piante e dei cieli terrestri – e dell’infanzia, a cominciare da Gli eterni lavori, poi confluito in Da mani mortali), di testi che esplorano le molte declinazioni dell’amore coniugale e si trovano sparsi in tutta l’opera come un microtesto nel testo, una traccia sommersa, una seconda voce – e, infine, di poesie commosse e grate, dedicate agli amici. Tra queste ultime, il gruppo di Poesie per Giovanna (Sicari), dalle quali è stata qui riportata Vennero i giorni del grande Carnevale.

Frabotta torna spesso a nutrirsi e a nutrirci con il sentimento della collettività trasversale, sghemba e affettuosa, dei poeti. Ne svela i tic, le abitudini e le attitudini, le divertite miserie e rivalità. Eppure, questo è il miglior mondo al quale sente di appartenere, sempre con l’occhio acuto come un’icona intelligente e il sopracciglio alzato, a indicare una contiguità profonda, sì, ma meditativa: Terra contigua, appunto.

Insieme all’amore coniugale, un filo rosso che si snoda attraverso l’intera opera – a oggi – di Biancamaria Frabotta è la storia, anch’essa accostata nelle sue molteplici declinazioni: dal mitologico dolore di Achille per la morte di Patroclo all’invettiva contro il Presidente (Bush). Storia, dunque, in maggiore (Storia maiuscola, storia di popoli aggrediti) e in minore (storia privata di sentimenti umani nella bolgia grande dell’altra Storia, come in Fenoglio), storia che apprende dal passato il corso che non dovrebbe diventare ricorso, e storia come vis politica, tempo presente da esplorare alla luce del già accaduto. Possiamo allora concludere che l’ossessione di Frabotta (ogni poeta ha la propria: chi l’amore, chi i morti, chi entrambi…) sia comprendere il reale adoperando le parole come una leva che stacchi la maschera dal volto e mostri, infine, la tenera crudeltà dell’umano.

Chi davvero ama gli uomini non ha bisogno di fingere che essi siano diversi da ciò che sono, per amarli. Frabotta vede e comprende l’intera miseria umana, ma, nel gesto ripetuto che compie, di analizzarla per testimoniarla, denunciarla e indignarsi, rivela la sua fiducia nella trasmissione delle idee e, soprattutto, la fiducia nel compito morale della poesia, come strumento di superamento del disincanto. Frabotta scavalca e prosegue così la lezione caproniana: il Novecento, secolo sconvolgente per la fiumana di sangue della sua enorme e capillare tragedia, si è concluso. Il nuovo millennio sta portando i suoi argomenti nuovi, le delusioni e le macerie già note, ma, insieme a queste, la capacità di orientarsi meglio in questa polvere ormai conosciuta, adoperando bene le nostre mani mortali, consegnando, con esse, qualche cosa a chi viene. Questo ci suggerisce il “da” del titolo. Da mani mortali. Preposizione: semplice, rivolta a.

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