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Rimi Margherita, Nomi di cosa (motivazione Notari 16)

Margherita Rimi è neuropsichiatra infantile e di bambini, onestamente, si occupa la sua poesia. Come esergo e – diremmo quasi nota introduttiva – del libro è posto un frammento di Alice Miller, nel quale viene detto che il corpo è “incorruttibile, cessa di tormentarci solo quando non rifuggiamo più la verità”.  Data questa premessa, ci prepariamo ad affrontare la verità che ci verrà detta. La poesia di Rimi sta a metà tra Rodari e Lamarque, simula – o trascrive – il linguaggio infantile dicendo cose serie e feroci (come la violenza che si subisce mentre i grandi si accecano per non vedere), malinconiche (come la ricerca difficile della propria identità dopo che siamo stati danneggiati), dolorosissime (come la breve sezione sull’autismo, dove impera il dolore della “madre frigorifero” coniata e demonizzata da Bettelheim) – o insopportabili (come il ricordo di Palmina Martinelli, bruciata viva perché rifiutò di prostituirsi). Tutto questo perché la poesia, per Rimi, che lo scrive chiaramente, citando Antonio Presti, è responsabilità del pensiero. Ci interessa che una dottoressa che lavora (anche, immaginiamo) con bambini che hanno difficoltà di apprendimento usi anche altre lingue nella sua poesia: la deduzione è che Rimi voglia anche seriamente giocare con parole e teorie, che spesso intreccia alla propria poesia. Questo proposito appare con chiarezza nella sezione Patologhia, nella quale Rimi rivendica la corporalità del corpo, il diritto del corpo a venire ascoltato attraverso la voce chiara e concreta dei suoi sintomi, chiudendo così il cerchio che aveva aperto con l’esergo di Miller. Possiamo dire che, con Nomi di cosa-Nomi di persona, Rimi metta in pratica quanto ella stessa scrive, ovvero attinga alla propria infanzia per comprendere – più che per osservare asetticamente – l’infanzia degli altri: solo chi ha ancora vivo dentro di sé l’indifeso bisogno di una carezza, può riconoscere lo stesso bisogno in un altro. Anche nel proprio figlio. Aggiungendo poi che, nella complessa costellazione che siamo, “anche una madre si tiene fra le braccia”.

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