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Di Palmo Pasquale, Trittico del distacco (motivazione Notari 16)

Nelle poesie di Pasquale Di Palmo appaiono spesso paia d’occhi appuntiti, come immaginiamo siano i suoi: lo sguardo che Di Palmo posa sul mondo è infatti insieme acuto e compassionevole, ma di una compassione contenuta, diremmo quasi trattenuta per non esondare, pur trattando qui ovunque la materia incandescente del distacco. Le sole concessioni sono quelle che il poeta fa al cielo, a volte dal “colore schiacciato, di decomposta aringa”, altre volte messo lassù a divincolarsi fra i rami. La sostanza del cielo è quella di un organismo vivente e respirante sopra le architetture veneziane, di una città contemporanea e vicina a quella, malinconica e bellissima, camminata da Josif Brodskij. Altrove, in una delle prose finali, il cielo sarà “carta moschicida”, dunque elemento che raccoglie una infinitesimale materia viva, per farla morire. Morire come mosche, si dice – ovvero alla spicciolata, a frotte, come esseri che non sanno morire come si deve, con i dovuti congedi, semplicemente perché hanno dimenticato di dover morire. Di Palmo ha il coraggio della realtà, soprattutto nelle descrizioni della decadenza fisica degli anziani del “Centro Alzheimer” dove il poeta va a trovare il padre e intanto indaga intorno, vede gli altri, con un’intelligenza concreta, che non si risparmia e non ci risparmia la verità di quello che aspetta noi esseri umani intanto presi dall’avventura stessa di dimenticare la vita e, con essa, la morte. Ecco la solitudine irresponsabile e immedicabile dei ricoverati, ecco la verità dei loro corpi fragilissimi, ecco la loro assenza preventiva dal mondo, che li difenderà dall’ultimo dei distacchi. Ed ecco infine le prose, nelle quali, con una lingua ancora esatta e materiale, viene sbozzata la statua della memoria, affogata di sole e di perdita, lasciata in piedi nella luce “allucinata” del tempo.

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