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Centro Alzheimer “La Cornucopia” (16.4.13)

Parole come luci venute da una terra perduta: fare poesia con i malati di Alzheimer

Nella nostra memoria risiede la nostra identità biografica. Confesso che, prima di trovarmi davanti al gruppo insieme al quale ho lavorato, mi spaventava l’immaginazione di trovarmi in un deserto umano, ma conservavo fede nella poesia, nella sua capacità di accedere in diretta al nucleo caldo delle persone – o per lo meno di evocarlo.  

Una volta di fronte a queste persone abitate da una vistosa perdita di memoria, ho avuto l’impressione, certo, di una perdita di identità biografica, ma in favore di un allargamento verso una identità umana.

Come se in esse ci fosse una vasta zona abitabile da parte del presente, e del contatto immediato, così dis-occupati come sono da pensiero e memoria e, dunque, da pregiudizi e resistenze concettuali.

Il sorriso e l’assenso sembrano essere i canali principali della comunicazione, da e verso i malati di Alzheimer. Ma che ne facciamo della poesia davanti a persone che hanno come orizzonte l’immediato, il mero istante?

La poesia è musica fatta con le parole: parole che suonano insieme, che stanno bene insieme e fanno musica. Ma questa musica non è solo suono, è appunto fatta di parole – e le parole sono come vagoncini che trasportano un senso.

Il fatto che le parole della poesia stiano così bene una dietro l’altra da fare musica, rende più facile alle parole (e ai loro sensi e significati) scivolare dentro di noi mentre nemmeno ce ne accorgiamo.

Dunque veniamo facilmente raggiunti da parole: che significano qualcosa, sono sensi, hanno senso, aprono mondi e muovono memorie, associazioni, evocazioni, echi.

Inoltre: le parole che i poeti scelgono sono parole innamorate, che si sono attirate l’una verso l’altra come calamite e ora creano armonia.

Una poesia si fa ascoltando i sentimenti delle parole, aiutando a unirsi quelle parole che si guardavano come innamorate.

Quando tutto questo movimento funziona e questa tensione è attiva, raggiunge quella zona di similitudine umana della quale tanto parlano i poeti.

E tanto meglio la raggiunge se non ci sono schermi speculativi e cognitivi, nessuna intenzione di destrutturare e capire ma solo di ascoltare.

Il modo migliore per entrare in contatto con la poesia e con i doni che ci fa la poesia è farla suonare, ascoltarla.

Così, abbiamo soprattutto letto insieme, dato voce alla musica delle parole e ricordato e associato liberamente. Alla fine del nostro lavoro comune abbiamo ottenuto un generosissimo risultato di frammenti di memoria, anfore semisommerse, prue di navi, lampi di luce, ragazze sulla sabbia o che attraversavano un paese: fermi-immagine, luci venute da una terra perduta, come approdati a noi dalla Laconia di Alcmane – o da una zona ancora più remota.

Il laboratorio è stato un viaggio affascinante verso una moltitudine di porti sepolti e si è concluso con una generosa e affettuosa riconoscenza reciproca.

Come una dedica
 
C’era gioia, c’era vita, c’era tutto
per le scale di casa
 
lei era unica e bella
e malleabile
era alta e sottile
come una giunchiglia
 
e così fina della finezza ricca della spiga
sopra il suo fondamento immacolato
 
e nel giallo del sole lei sembrava più bella:
come una mimosa, una ginestra piena
di profumo solare – e il mare dietro a corona
 
lei era conosciuta perché era sarta: sul suo viso
quando passava lei, si vedevano tutti
i dettagli di una lavoratrice,
tutto quello che il tempo faceva
del suo cuore – e cosa il cuore
di una ragazza sapeva
fare al tempo
 
e questa gioia si ripeteva ancora, se ariosamente
lei passava – e ancora
adesso si ripete: ogni volta che scende
una donna sui selci della contrada
che rimbombano tutti
dei suoi tacchi, quel suono
fitto e fine
sembra ancora che parli di lei
come una dedica
 
Ti porto la ginestra che non ricordi
 
una volta eravamo sedute
su una sabbia piena di energia
solare –
con le gambe intrecciate alla luce e ancora altra
luce, margherite, sabbia, profumo, i dettagli del viso
che io adesso vedevo da vicino – bello come il sorriso di mia madre
 
e i bambini avevano nel petto
un cuore largo. se qualcuno piangeva
cercavo di calmarlo con la mia calma – e con me
camminavano tutti
ed erano
contenti, si volevano bene. io
sono stata benissimo, sempre. anche
 
adesso che sto qua io vi voglio bene
è tutto pieno di fiorellini per terra gialli – solo
c’è l’incavo nel bosco tra i cespugli perché c’è stata la guerra.
io come questa terra che si ricopre
di fiori ancora
e ancora, non ricordo più il male – adesso ho solo
tanta malinconia per la mia terra
per quest’isola piena di luce
che non ricorda il male

Alzabandiera
 
voci liberative come un pianto
dai locali di un altro quartiere
 
ognuno nel suo piccolo tranquillamente esprime queste frasi
con lo stesso trasporto
non soltanto i poeti: tutti
sanno mettere una dietro l’altra
le parole che vengono dal cuore

serata finale di lettura collettiva al Teatro Vascello, Roma, 19.6.13

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