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La Grande Illusione (Giunti, 2018)

in Princesa e altre regine – 20 voci per le donne di Fabrizio De André a cura di Concita De Gregorio

Guia Besana, Daniela Amenta, Ursula Ferrara, Melissa Panarello, Valentina Pedicini, Lorenza Pieri, Silvia Ziche, Barbara Di Gregorio, Silvia Camporesi, Enrica Tesio, Letizia Rubegni, Francesca Genti, Francesca Borri, Beatrice Alemagna, Carmen Pellegrino, Valentina Farinaccio, Maria Grazia Calandrone, Sara Colaone

LA GRANDE ILLUSIONE

Tutti i riferimenti e le ricostruzioni dell’omicidio di Paola Borghi sono autentici. Il suicidio in cella di Marco Prato è stato anticipato di oltre un anno per esigenze narrative, ma i fatti narrati e i documenti citati sono reali  anche in questo caso. Il personaggio di Carla Spada e il suo legame con Lorenzo Borghi e il caso Varani sono frutto di immaginazione. Nella speranza di avere rispettato e accolto le anime delle persone vere.

 “La biografia che fa pressione sulla creatura”
Giorgio Vasta

  1. la vita prima

Quando la volante della Polizia è arrivata il mercato non c’era più da anni.

Odore di cemento laborioso e compatto, un sentore di fresco, di pesce fermo al sole con gli occhi aperti e lucidi dei santi nelle edicole, rifresco di verdura che sale dai grumi dell’asfalto, cera e colature di formaggi negli interstizi dei sampietrini, il suolo scabro stuccato da goccioloni di mozzarella, falde larghe di foglie di lattuga e barbe di finocchi: un rionale scoperto, un agglomerato di matrone abituate a spicciare case che sanno di sugo: “A Nicò, e lèvame ’sta sleppa de grasso! Ma che, me vòi fa’ diventà ’na balena?!”, rare signorine garbate, ché quelle preferiscono fare la spesa nei supermercati, tutte azzimate tirano su la roba dagli scaffali, senza fare un fiato e invece qui, nel ronzio saporoso della vita, devono quasi urlare: “Un panino a lievitazione naturale, per favore” – e solitudini una accanto all’altra: uomini sempre un po’ spaesati e ragazzini che prima della scuola ficcano i denti nel rettangolo di pizza bianca appena sfornata, che bolle i polpastrelli e unge la carta da pane – e tutti sentono comunemente il mondo: i dischi delle bilance brillano al sole, le buste frusciano sulle fiancate dei banconi verdi, la piramide fragile delle uova rintocca, sullo sciacquio degli stivaloni dei pescivendoli e sui colpi di mannaia contro il legno della macelleria.

La colonna sonora del mercato è una pura teoria dodecafonica di pettegolezzi a bassa voce e vezzeggiativi urlati. Le verduraie più anziane attivano un juke-box di richiami materni per le clienti: “a ni’”, “cocca”, “gioia”, “fata”, “amore”. Si faceva la spesa per sentirsi chiamare come bambini.

Le fruttarole giovani, arrivate con l’alba dalle campagne intorno alla città, riportano addosso il freddo e il caldo dell’aperto dei campi, la pelle rossa, screpolata e arsa come la terra, mentre capano carciofi o fagiolini e filano a mezza bocca la litania “Mille al pezzo, mille al pezzo”, mentre i primi pakistani si accostano corpo a corpo alle signore, intonando il salmo di una setta segreta “Aglio, signora buole aglio?”

Il 22 giugno 2016 albeggia appena, la strada sta ferma e silenziosa. Due poliziotti in divisa posteggiano sgommando davanti al civico 58 di Via Enea. Quando aprono le portiere, l’abitacolo dell’Alfa Romeo azzurra esala l’odore del primo caffè del mattino, quello nero, velenoso, adrenalinico, depositato nei fiati come una palta protettiva, che accompagna nel lavorio del giorno.

Appena preso servizio, Renato Fiori e Claudio Bertozzi sono stati mandati sulla scena di un presunto omicidio. Una donna, una madre, pare, all’ottavo piano di un condominio – scala unica.

“Incominciamo bene!” aveva commentato Renatino, mentre il collega giovane che gli era affianco, grosso e sovrastante come un toro, non vedeva l’ora di salire, esplorare, annusare l’aria, ficcare il naso nel sangue che è stato versato dentro quel palazzone sincero, di quelli che nelle sere d’agosto esalano profumi di frittata e peperoni arrosto.

D’estate l’intimità delle famiglie rimbomba nei cortili. Le madri chiamano i ragazzini a tavola gridando nomi che sembrano l’unico, ininterrotto nome dell’Infanzia. Stanata dalla voce delle madri nei luoghi meno banali del quartiere, la grande infanzia romana converge verso l’odore di peperoni arrosto e frittata.

Suonano il campanello. Il figlio apre la porta girando quattro mandate di serratura. Appartamento della media borghesia, tende bianche alle finestre. Un forte odore di disinfettanti, nonostante le finestre spalancate e l’aria che spazza il corpo di una donna, distesa seminuda ai piedi del letto matrimoniale, con un cuscino in faccia dentro l’odore rosso delle foglie di pruno del primo giorno d’estate.

[…]

9.  colpa sua

C’è un’insolenza negli innamorati, portano una rivoluzione che il povero oggetto del loro amore non desidererebbe affatto subire! Si comportano come se il mondo fosse tutto radioso, investito e pervaso dal loro amore. Con tutto quello che succede al mondo…

Credono che l’amore che provano li renda degli stregoni, dei taumaturghi, delle manne, dia loro il diritto di interrompere quel che sei stata fino al momento del loro arrivo (diciamo meglio: irruzione!) e fondare una nuova te stessa, disordinata e irriconoscibile a te stessa. Ma modellata come piace a loro. A volte ero sicura che nemmeno mi vedesse, che avesse solo bisogno di sentire l’amore che sentiva. Mi perdonava tutto: era impossibile. Nessuno ama così, non era me che amava.

Nelle ultime settimane, mentre Lorenzo era indagato, facevo molte cose, per non meritare il suo amore: lo sfidavo, lo trascuravo, lo respingevo accampando scuse anche verosimili: la stanchezza, il lavoro, il poco tempo, lo maltrattavo invisibilmente, polemizzavo, creando il geyser sulfureo di liti microscopiche generate da nulla, anzi, dal nucleo stesso dell’amore – e lui mi amava, non smetteva, cicatrizzava subito. Al di là di ogni logica. Protervo, ottuso, cieco. In una parola: violento.

Questo dunque è l’amore? Questa violenza che sei costretta a subire a causa di un sogno sognato da un altro? Questo essere forzata a trasfigurarti perché un altro possa continuare a immaginare la persona che gli piace nel mondo che gli piace…

Ma, d’altra parte, un innamorato come fa a fermarsi? Qual è il limite oltre il quale l’amore non lievita e non spinge la creatura oltre se stessa?

E infatti, con il tempo, peggiorava: perdurava e, perdurando nonostante me, acquisiva crediti. Ero sempre in difetto, davanti alla sua limpida coscienza. Avevo perso le speranze che prima o poi smettesse di assediarmi, come si conviene nel mondo reale. Lui non accettava il cambiamento. Non lo capiva, non si capacitava. Aveva preso l’abitudine affatto malinconica di ricordare ad alta voce le parole d’amore che gli avevo detto, le cose che avevamo fatto insieme: Amore, ti ricordi? ti ricordi? me ne chiedeva silenziosamente conto. Insomma, mi accusava. Mi accusava e mi aspettava, sfidando la logica e il senso stesso della realtà. La sua attesa metteva in discussione le mie parole, il mio diritto a essere cosciente di me stessa. Come potevo sopportare tanto? L’ordine delle cose era distrutto. Il rifiuto non veniva ascoltato. E lui soffriva e amava, gioiva di potermi anche solo guardare. Orribilmente, sfacciatamente vivo.

Poi, finalmente, poco tempo dopo il fattaccio, il suo buongiorno non suona amoroso e buffo come sempre. Gli chiedo tutta speranzosa Lollo, che c’è?, risponde Niente, gli dico Se vuoi passa a trovarmi, sto studiando le carte di Prato, posso fare una pausa caffè. Non se lo fa ripetere due volte, si presenta con le paste al cioccolato e un sorriso bellissimo; ma lo sento sconvolto e mi sconvolge. Dice Ho sognato di precipitare nel vuoto. Una solitudine fisica spaventosa, dice Ho provato l’esilio del corpo che cade nel vuoto, dice Solo il tuo abbraccio poteva salvarmi.

I fatti lavorano in silenzio dentro di noi. Mi sento rispondergli cose che mi fanno stranamente male, mentre le dico: Caro Lollo, il tuo sogno ti ha detto quello che io non avevo il coraggio di dirti: non provo più attrazione per te, non sono più innamorata, non posso abbracciarti. Non aspettare che io torni indietro, non ci sono spiragli.

L’ho visto diventare bidimensionale, il cuore gli si è sfaldato in petto come un’ostia e il mondo non lo raggiungeva più. L’ho ucciso in quel momento. Senza neanche sfiorarlo. Per quello.

 

Gino Castaldo, “la Repubblica”, 7.2.18 – Maria Grazia Calandrone, partendo anche lei da La ballata dell’amore cieco, arriva lontanissimo, con un piccolo romanzo di nera che naviga tra cronache reali e fantasia. E inventa una detective di nome Carla che tra i nomi di De André non c’è, ma ci sarebbe potuto essere. Il rapporto tra invenzione e notizie era tra l’altro una delle modalità tipiche della scrittura di De André, che non di rado trasfigurava spunti della realtà e perfino di cronaca, fino a renderli talvolta irriconoscibili […]

Luigi Milani in GraphoMania

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