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«Antinomie» 20.3.20

  • La casa
  •  
  • Adesso che il fantastico ha intaccato il reale, abbiamo l’occasione di sottoporre alla prova del vero le teorie su noi stessi.

 

  •  
  • Senti come funziona la casa che amavi. Le resistenze elettriche
  • vibrano negli astucci
  • di polietilene, le condotte
  • fiottano. Analizza l’amore
  • che le cose ti portano. Le superfici
  • lisce, non intaccate. Esse
  • sono vicine, disponibili. Analizza l’amore
  • che le cose ti portano ancora. La durezza concreta degli smalti. I solventi, le cere
  • sparse sui legni di una nave affondata
  • nel cielo. Io
  • diffuso
  • nel corpo collettivo vulnerabile.
  •  
  • Morbilità. Guerra
  • dall’invisibile. Tutti dicono
  • guerra. Il nostro primo scontro planetario
  • non l’avevamo immaginato così. Resistenza immobile
  • contro un unico sciame. In assenza di corpi, il corpo urbano è
  • astratto, scarnificato. Paesaggio con sirene,
  • uno sconcerto
  • inferto
  • al corpo comune. I palazzi sporgono dall’asfalto
  • come fenomeni del Pleistocene.
  • Le costole fluttuanti della Tangenziale, il gran riso sdentato
  • del Colosseo, riso totale
  • dell’arcata dentale
  • con gli alveoli vuoti. Rictus
  • prestorico, cava del sogno di maschere severe del futuro.
  •  
  • Adoperano strumenti simili a quelli del verderame, per nebulizzare le strade
  • con un amalgama di acidi
  • iridescenti. Metti il corpo lavato nell’aria. L’aria
  • è un reagente, si addensa
  • quando tocca una corolla. Riconosce la vita, l’
  • accarezza. Anche questa
  • che muore da sola. Intorno ai polsi
  • ha un’estate in rovina.
  • Quando l’alieno sarà stato esposto
  • alla coscienza, verrà ingoiato nell’indifferenza della storia
  • insieme all’immodificabile ammontare
  • dei morti. Quello che brilla, mi dicevi sempre, non ha fine.
  • Il lavandino, una stella.
  •  
  • Ci orientavamo nello spaziotempo dei pomeriggi
  • filando dietro al suono di ogni nome
  • aperto dal dialetto come un’arancia. Sentivamo di essere vicini
  • al punto di rottura di un sistema, un ingranaggio asciutto
  • che non vale la pena definire ancora.
  •  
  • Borchie e lastre. Nei fatti, tutto è fermo
  • come da un blocco di paesaggio sognato.
  • Ma è passato talmente tanto tempo
  • e a non avere fine non sono state stelle
  • né pianeti, sei stata tu: a non avere fine
  • sono quelli che fanno brillare
  • il mondo dentro il suo mero essere
  • questo silenzio ampio, domenicale, con la voce che chiama
  • dalla cucina.
  •  
  • O dalla fine del mondo, è lo stesso, se a chiamare è la voce
  • di chi governa fino a tarda sera
  • e poi
  • cede al futuro, che è una conchiglia di memoria, lo splendore promesso
  • quando ogni mattina mi posavi
  • una tazza di latte sul comodino.
  •  
  •  
  • Roma, 18 marzo 2020
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