Poesie
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lettura per Neclit Estudos Contemporâneo de Lit. Italiana da Universidade Federal de Santa Catarina na Florianópolis, BRASIL
da GIARDINO DELLA GIOIA Mondadori 2019 Poesia-sudario per Genova 14 agosto 2018
Risposta per Arturo Se anche mio figlio, ieri, col libro di grammatica 6 marzo 2018 sembrava una faccenda naturale, che tu nascessi, coi muscoli crociati in posizione e tutto il corpo predisposto al vivere, sembrava niente
che tu cadessi in tutto quello che incomincia a morire incorniciato dai fiori e con la gola scoperta: ecco la vita in campo aperto, con la rachide tutta fiducia, le ossa ancora cave dei bambini, come le ossa degli uccelli e le borchie d’ottone poi, a riflettere il sole sulla terra che prende colore, dove sarai grande abbastanza da diventare niente per sempre e dire un cuore solo non basta per ricambiare la bellezza, che vedo * se, da adulti, riappare
la bianca terra iniziale che avevamo negli occhi da bambini, siamo tornati quelli che eravamo bassi, vicini al senso delle cose, corolle aperte a un palmo da terra 9 ottobre 2017 Deposto il nome
Diceva sempre ditele che la amo e ditele che ho fatto tanta strada per amarla. Ditele che se uscivano angeli e diavoli dalla sua bocca, io vedevo soltanto la sua bocca. Ditele che mi abita per sempre. Diteglielo, vi prego. Diceva sempre. 30 aprile 2016
da Gli Scomparsi (Gialla Oro pordenonelegge, 2016)fototessera di Lucia Galante
sotto i vestiti eleganti preme l’esuberanza onesta della carne (tese le cuciture sulle spalle) ed è facile immaginare quel corpo muoversi sotto il cielo vastissimo del grano di maggio, stare nella compattezza di un’esistenza sola sotto il peso del cielo, sentire il peso del cielo e una valenza come di moltitudine che non va indagata mamma, se dal centro del grano risale lo stridore meccanico della tua morte immatura come il grano di maggio e perdonata come si perdona un papavero nella solitudine del grano, come si perdona la vita che non conosce altro che se stessa 9 maggio 2017 (in Interno Poesia) La poesia è anarchica, risponde a leggi solo proprie, non può e non deve piegarsi a nient’altro che a se stessa. La sua legge interiore è ritmo, musica assoluta. questo spiega la commozione che proviamo nell’ascoltare letture di poesia in lingue a noi sconosciute. abbiamo l’impressione di comprendere anche se non capiamo le parole, perché le nostre molecole consuonano con la musica profonda della poesia, che è la stessa in ogni lingua: un ultrasuono, un rumore bianco. una lingua invisibile, un ronzio nucleare traducibile per approssimazione, una sonorità che entra in risonanza con la parte più estranea e profonda delle nostre molecole e col rombo primario della materia
che compone la sedia
sulla quale sediamo.
Come certa musica – penso al Chiaro di luna di Ludwig van Beethoven – è un linguaggio letteralmente universale: i poeti lo scrivono da sempre, ma le recenti scoperte astrofisiche lo confermano con rigore scientifico, non più solo intuitivo: il nucleo più profondo di noi è composto della stessa materia delle stelle. Parole di Margherita Hack: «Tutta la materia di cui siamo fatti l’hanno costruita le stelle. Tutti gli elementi, dall’idrogeno all’uranio, sono stati fatti nelle reazioni nucleari che avvengono nelle supernovae, stelle molto più grandi del Sole, che alla fine della loro vita esplodono e sparpagliano nello spazio il risultato di tutte le reazioni nucleari avvenute al loro interno». Dalle scoperte ultimissime sappiamo ancora che metà degli atomi che formano i nostri corpi è materia prodotta fuori dalla Via Lattea, viene da una distanza che non si può commensurare. La vibrazione delle nostre molecole entra in risonanza materiale con la vibrazione dell’universo, fin dentro l’universo sconosciuto. Questa forza «che move il sole e l’altre stelle» è quella che Dante chiama «amore». la poesia intercetta il corale profondo e ininterrotto di questa forza, intona la sua voce al rombo delle stelle extragalattiche e al rombo primario della materia
che compone la sedia
sulla quale sediamo.
È un oggetto fatto di parole sempre d’amore. e basta. (in "Luvina", Mexico, primavera 2018)
L'ORO – eterno, inalterabile, omogeneo, facilmente trasportabile. un metallo di transizione tenero, pesante, duttile. l’oro è l’elemento chimico di numero atomico 79. è un malleabile di colore giallo. il suo colore è dovuto all’assorbimento delle lunghezze d’onda del blu dalla luce incidente. l’oro è quasi del tutto inattaccabile. allo stato puro, è incorruttibile. reagisce solo con acqua regia e ione cianuro. nel suo stato nativo si rinviene, sotto forma di pepite, grani e pagliuzze, all’interno delle rocce, al fondo dei depositi alluvionali e al fondo dei tuoi occhi innamorati pasto nudo [...] il bacio sulla fronte, 'na specie de poesia (dieci frammenti sull'evoluzione) 10. scimmia lunare la poesia non è che questo rimbalzare del suono tra angoli bianchi di crateri preistorici – un vuoto calcinato avvitato al fondo dell’orecchio umano come pelle con osso il cantiere è la vita, l’oro della pazzia, tutta l’umana gioia il poeta è la scimmia lunare. il suo corpo non è mai solo: traslocato dal favo fiottante della parola nella cella vuota della parola, il suo corpo prende in sé – fisicamente tra i suoi occhi divisi – il centro della terra, metallo liquido composto dalla pena e dalla gioia di tutti egli sa solo trasformare in canto il sangue della specie sebbene il suo corpo sia una comune entità chiusa, in trasparenza la sua massa risulta sciolta all’interno per un fenomeno di combustione mentre attinge alla lingua comune della specie, a quella lingua in allontanamento come un arcobaleno lunare che risorge dai luoghi dell’origine, dove la lingua serve a stare insieme per dire le cose, è solo compassione (in Interno Poesia, 2.1.17
leggi il poemetto completo in Nuovi Argomenti n.63 - settembre 2013)
incipit. esumazione del corpo amoroso. lacerare
la guaina della memoria. esporre le lacune. vastità siderali del corpo amato. secondamento, al fine della esposizione dell’intero corpo amoroso sul tavolo settorio. conta delle lesioni di assestamento e delle distorsioni della realtà. il seno sagittale della dura madre origina a livello del forame cieco e afferisce alla falce cerebrale. sia secondo l’amore il pensiero. la comune malinconia di un dato: finire per estinzione deliberata del battito cardiaco. si riscontrano scorie di volontà non propria, simili a imitazioni di un’idea del mondo. scaglie plastificate di realtà sulla dolce mucosa sublinguale. seno destro imperioso. cavalcatura del monte. lambita rima del monte. una goccia di sostanza vitale brilla ancora alla luce del tardo pomeriggio estivo. seno sinistro petroso. rima che irrora la giugulare, raccolta nella tunica esterna di una pelle ambrata per un sangue perfettamente puro. nessuna carie. aggressione del lobo tiroideo. avrò cura della schiuma di neve dei tuoi sogni e dell’arco sereno del diaframma. l’impalcatura nervosa degli arti inferiori vibra come un elastico. un sorriso infantile. bianco come lo smalto di un lavabo. bianco come il tuo cuore che tremava per l’accelerazione e ora posa nel cavo sternale come una scheggia calcarea. la concrezione del mio amore muto nel disco d’oro che hai chiamato prevaricazione si è scolpita nella cesura amara delle labbra, bellissime. la comune evidenza di un dato: amare questo vivido essere impermeabile. avere cura della sua meraviglia e della sua ferocia. non esiste che questo sulla terra. 10.9.15 io, che non credo all’evidenza del male,
cerco la colpa mi dicono che questa sia la colpa: non andare via, non essere precaria dicono che il carnefice è chi ama dicono che l’offesa sia ottenere quello che per diritto naturale aspettiamo nascendo: essere amati senza condizioni dicono
che la ferita non sia la mia, d’essere abbandonata, che la vergogna più profonda sia essere finalmente senza pretese e senza condizioni finalmente amati 19.5.15
SERIE FOSSILE (Crocetti, 2015) © – fossile
metti una mano qui come una benda bianca, chiudimi gli occhi, colma la soglia di benedizioni, dopo che sei passata attraverso l’oro verde dell’iride come un’ape regale e – pagliuzza su pagliuzza, d’oro e grano trebbiato – hai fatto di me il tuo favo di luce una costellazione di api ruota sul tiglio con saggezza inumana, un vorticare di intelligenze non si stacca dall’albero del miele – sarebbe riduttivo dire amore questa necessità della natura – mentre un vuoto anteriore rimargina tra fiore e fiore senza lasciare traccia: usa la bocca, sfilami dal cuore il pungiglione d’oro, la memoria di un lampo che ha bruciato la mia forma umana in una qualche preistoria dove i pazzi accarezzano le pietre come fossero teste di bambini: avvicinati, come la prima tra le cose perdute e quel volto si leva dalla pietra per sorridere ancora 24.5.13
ي – acconsente 8.10.13 ۩ – età dell’oro
dico di quando, per la troppa gioia d’essere amati, cadiamo sulla terra oh!, viva carne che perderai la voce nel pianto, dico di quando ispirati, noi costruiamo con martello e chiodi lo scenario e il fossile di un angelo stacca le ali dalla calce dei muri, a fondoscena. dico di quando io abbracciavo in te tutta la vita: la tua e la mia, che brillavano unite da una gioia preistorica nella notte, che accadeva da ovest sulla campagna. dico di quando tu ritornavi vergine per me in una trasparente emorragia di luce – oh!, cosa straordinaria di natura ordinaria – oh!, vita tutta intatta, tutta disordinata, prima che l’amore pulisca tutto, all’indietro tutto, la vita intera 9.10.13 ϔ – albero, fossile verrai nutrita a lungo, avanti nel tempo della vita, dai frutti di un melo preistorico. in un futuro aprile, t’innalzerai con la spina dorsale spinta da una linfa nuova, ricorderai la dolcezza dell’albero che non voleva morire e ributtava e rifioriva, ogni volta che lo tagliavi. girerai indietro la testa, allungherai la mano, la bella mano che con tale dolcezza accarezzava i rami aperti del melo e mangerai. allora tornerò nella tua bocca con la leggerezza della luce. e ancora, al calor bianco del nostro tempo estivo, mangerai la mela che ha pescato al fondo del tempo, il frutto rosso e gonfio come un’arteria, che scorre dalla mia vita alla tua vita, ma lontano, ma sotto, là dove non arriva la ragione, nei luoghi inarrestabili. dimentica l’albero. non pensare più a niente, soffiami via. che resti solo vita per la tua vita, 24.8.14 ascolta albero, fossile a Radio3 Fahrenheit (2.3.15) Maria Grazia Calandrone legge "San Silvestro - Arco di Travertino", inedito, per Rai Letteratura - registrazione 27.9.2012 [poi in Il bene morale (Crocetti, 2017)]ROSA DELL'ANIMALE (Zona, 2014)
io non sono che il bianco della bestia
e lo splendore del suo occhio nero, rotondo, mite sono la mansuetudine dell’universo che gira su se stessa come l’occhio nell’orbita dell’ animale, idolo addormentato che qui, sul limitare dell’abisso, lascia la prima lacrima di gioia. sono occorsi millenni per quest’unica lacrima, alla quale s’inchina, come s’inchina un campo di fiori battuto da un vento siderale, questo plurale umano, coronato di sole e impastato con la stessa pasta della bestia, questa miseria che desidera essere accarezzata dalla misericordia del tuo sguardo 12.1.2013
se questo corpo è tutto traforato
dallo splendore della continenza sarà aria, presto io sarò aria e sarò il balestriere che ormeggia il cielo, il corpo secco come un trofeo di guerra dopo l’ultima lotta, il rubino addensato da tutte le mie colpe sulla fronte – un diadema di colpa. non avrò più peccato, solo armi. né corazza né cavalcatura: sarò nudo e porterò il dolore superficiale di una spada appoggiato sull’omero – sarò quasi già un pugno di sabbia, ma piegato sotto il suono d’oboe della rotazione dei pianeti, sensibile al cigolio della macchinazione planetaria, deporrò i muscoli impiegati per il volo come appendici – o solamente sogni di appendici umane – nel vaso del tuo corpo, che è rimasto fedele alla fiducia che questo mondo dove pesano solamente i fatti sia fatto a somiglianza di un’astrazione IL BENE MORALE (Crocetti, 2017)
Roma, all’improvviso, notte
buio improvviso. il sole splende sui tetti e non al suolo. il giorno si capovolge come uno scarabeo d’oro. sfolgora il metallo delle gru, i meccanismi e i giunti unti di sole colano pioggia d’oro. una grandine chimica, innaturale, incrina il contratto sociale del cielo con gli uomini. i palazzi di Roma popolare, della mia bella Roma
contro il sereno: un paradiso caduto sotto la fiamma liquida del cielo. il cielo butta da una piaga sulfurea un rovescio squillante di gabbiani: un luccichio scontento di ali fatte per capire il mare batte pochi metri più in alto del suolo, quasi che le nuvole si siano chinate a calare uno sconforto solo terrestre e l’azzurro ne resti tutto indifferente, scosceso di luce nel gelo imperscrutabile del padre Roma, 5 dicembre 2012, ore 16.20 Voi non sapete la vostra bellezza, i colori magnifici che fate, la vastità marina dei cassetti Tra corpo e polietilene non c’è spazio. Eppure resiste Guarda queste colonne orizzontali, questo moto da luogo, guarda il compatto Pensa al continuo affrontarsi Sotto di voi è distesa la colata di pace Adesso sei continuamente in contatto Roma, 29 settembre 2011 podcast DELL'UTOPIA DEL VOLO per Marcello Benvenuti (Radio 3, 1.8.12) ![]() La chiara circostanza I FIORI CHE LEI PORTA (teaser 01)
da Maria, Passione
Io non avevo alle spalle l’aria […] Posa il tuo piede sopra le mie spalle da OPERA 9/11: la cecità amorosa
Grazie per le barche ferme Non avevo nemici, avevo Quando hanno adagiato il corpo sull’altare nell’aria c’era soprattutto OPERA 9/11 in Radio 3 RAI (21.3.12) foto di Francesca Mannocchi © Maria Grazia Calandrone 2010 - Tutti i diritti riservati - All rights reserved
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