sconforto e furore
sento che siamo in pericolo.
sento che siamo poveri, perché siamo soli.
vedo un mondo di congegni efficienti, specializzati, derubati dello sguardo d’insieme che chiamavamo saggezza, vita vissuta, esperienza. intelligenze agilissime, quasi feroci, alle quali non è più dato tempo di provare amore.
il furto comincia dal tempo. e divora le relazioni. divora quello che chiamavamo amore.
e società.
vedo sepolcri smaglianti, narcisi iperattivi e performativi, dentro i quali pesa, fermo e duro come un sasso, il rimpianto di una vita perduta. sempre più affondata, sempre più negata.
negata fino a non sentirne più il desiderio. nemmeno la memoria, fastidiosa e ingombrante. talvolta compatita come si compatisce il sogno di un bambino.
eppure quello era il nostro futuro, non lo stato liquido e immobile di un bene infantile, non la caverna amniotica dei perdenti e dei rinunciatari.
alcuni ricordano. e non vanno derisi.
alcuni parlano a nome di tutti. come è sempre stato. e lo fanno bene, lo fanno ad alta voce. lasciano semi anche nei solchi esigui, anche di notte, persino nelle crepe dell’asfalto. perché hanno fiducia nella terra viva.
davanti allo spettacolo sociale un idealista prova un amarissimo sconforto etico.
ma sono i guerrieri a combattere. dobbiamo allenarci a unire nella stessa persona due cariche eversive contraddittorie: sconforto e furore.
la struttura alienante che pesa per sottrazione sul nostro tempo, individuale e sociale, può essere minacciata solo da chi coltiva la carica morale dell’utopia e, insieme, la collera vitale di un guerriero.
ricordare il futuro è la salvezza. ricordare cosa ci aspettavamo dalla vita e da noi stessi quando eravamo liberi di immaginare. quando eravamo liberi.
quando eravamo noi.
15 settembre 2015
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