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"Fabbrica" di Antonio Delluzio

Agustoni Nadia, I necrologi (CorSera, 19.8.17)

"Fabbrica" di Antonio Delluzio “Fabbrica” di Antonio Delluzio

Solitudine e prevaricazione tra compagni visti da una poetessa che lavora in fabbrica (la27ora, 19.8.17)
Nadia Agustoni, I necrologi (La camera verde, 2017)

I necrologi di Nadia Agustoni sembrano essere una cronaca dall’inferno. Con esattezza analitica, Agustoni riporta in pagina orari, meccanismi di movimento, gesti e nefandezze di una fabbrica contemporanea, adoperando un’asciuttissima, scarna e dunque doppiamente coinvolgente prosa lirica. Doppiamente perché la freddezza apparente dell’analisi restituisce una oggettività cruda, ci fa credere alla lettera ai fatti che vengono descritti: registrati e documentati, notificati più che “raccontati”. Ricordiamo a questo proposito che il libro precedente di Agustoni s’intitolava invece Racconto, perché tendeva a costruire un mondo di malinconica, rarefatta accoglienza. Con I necrologi ci troviamo sul piano non scivoloso della realtà. sebbene sia anche questo un falsopiano, lo capiamo aiutati da frasi critiche come: “niente da capire. adatti al tempo.” o, peggio: “il cuore forte che non si perdona a nessuno”, “il lontano di chi muore”. E poi torniamo a brani come: “12,30 calcolo. i pezzi pronti segnati. segue calcolo del tempo. contare per i guasti. sulla scheda nome e numeri. i numeri seguono ai numeri. i pezzi e il tempo. il calcolo a mente. se tornano i pezzi fatti vai tranquillo. altrimenti guadagnare i secondi caricando in fretta. evitare il disastro. non sbagliare.”. Leggendo, torna alla mente la figura alienata e nervosa del gigantesco Gian Maria Volonté che, in La classe operaia va in Paradiso scandiva i gesti alla catena di montaggio incoraggiandosi con il mantra disperato “un pezzo, un culo – un pezzo, un culo”. Credevamo che quei tempi fossero tramontati. Invece, leggendo i necrologi, comprendiamo che la situazione nella fabbrica a noi contemporanea è ai limiti del sopportabile, perché appare completamente morta la solidarietà umana tra operai. In questo senso il libro di Agustoni è un documento di importanza estrema, attualissimo nella sua denuncia di una microsocietà razzista e competitiva fino alla crudeltà, all’umiliazione degli altri e all’odio immotivato contro i più deboli (gli stranieri, le donne o quelli che sono cronologicamente arrivati per ultimi), prodotto solo di una cieca, inesprimibile rabbia per la propria condizione efferata, quando “aumentiamo il ritmo a non rispondere”, perché “ci si muove accerchiati”. Così, questa vendetta trasversale, obliqua, che non centra il bersaglio, viene scritta in maniera chiarissima: “certi muri hanno su la foto di donne nude. gli piacciono con le gambe aperte. il sesso lasciato indifeso. si vendicano di essere nudi per i capi.”. o, ancora: “se uno è buono la paga per tutti”.

Incattivirsi, dunque. Quando va bene: anestetizzarsi, nel silenzio incombente. Non sentire parole, né niente del proprio consueto sentire. A essere schiacciata nel meccanismo di montaggio è la natura umana, il necrologio è rivolto all’umano, oltre ai singoli individui umiliati. Agustoni è serissima nel dirlo, come sempre. E serissimo e implacabile è il suo punto di osservazione, che le fa scrivere: “diventare ferro non si riesce. sai sempre qualcosa che non sapevi. giorno per giorno impari com’è vivere un solo giorno. non guardare troppo in là. sono i nostri resti umani. sono queste cose appese a un armadietto.”, perché “vivere sono le cose taciute”. Ma, in questo quadro di solitudine desolante, interrotta da momentanei giochi di pallone o brevissimi incontri in sala-mensa, “uno ci racconta dei picchetti di una volta con le bandiere in giro. sul cancello a parlare di tutto. si stava bene. chi aveva libri li scambiava. ci piacevano le canzoni. scoprire la pianura.”. Dunque un dialogo e una memoria – anzi: un dialogo sulla memoria è ancora possibile, qui dove “la ragazza ha le mani ferite le braccia ferite la voce ferita. gli occhi come vasi d’acqua.”, parole che ricordano La ragazza dagli occhi pieni di buio descritta negli anni Cinquanta da Nella Nobili, anche lei “poeta che lavora in fabbrica”, come ama definirsi Agustoni. I Quaderni della fabbrica di Nella Nobili sono però testi “sentimentali”, introspettivi, nei quali lo sguardo guarda oltre le cose, dietro i volti delle persone e al di là dell’evento: Nobili viveva la fabbrica osservando i moti dell’animo, al contrario di Agustoni, che – a ragione – ritiene sufficiente mostrare la superficie delle cose, perché il lettore tragga le giuste conclusioni. Sono passati molti anni e nel micromondo delle fabbriche arrivano gli operatori televisivi, vengono pure i preti con la benedizione, ma in questo libro la parola “insieme” compare significativamente solo quattro volte, due sole volte riferita all’umano – l’ultima è questa: “il lavoro sarebbe un’altra cosa se stessimo insieme, ma fanno che si soffre e loro diventano grandi”

Per concludere, tengo a riportare una notizia che Agustoni ci regala in nota: il libro è al maschile perché dapprima l’autrice aveva pensato di pubblicare anonimi i suoi necrologi. Poi, ha assunto il coraggio di sottolineare che nulla di quanto abbiamo letto è inventato. Dunque esprimo gioia per le due parti della vita di Agustoni, apparentemente inconciliabili, che oggi trovano la possibilità di convivere apertamente grazie al dono – che è diventato impegno appassionato – della poesia. Che, del resto, si sa, non è che vita.

Maria Grazia Calandrone, 2.8.17

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