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traduzione di Carolien Steenbergen

da Il bene morale
frammento di Notturno con frana e bambini
 
Quando si è fatto giorno non pioveva più. Dalla terra sconvolta
si alzava un coro, tutto
era troppo pieno di bellezza: la solitudine
collettiva delle contrade
risplendeva. Ovunque erano pozze
limpidissime: sembrava che la luce si fosse rotta 
e raggiasse da terra. Scaglie d’oro facevano luce
di tra l’erba, corpi vivi di pesci in abbandono.
Il cielo camminava sulla terra
con i tuoi piedi, amore, come allora. Allora
contava tutta la figura inclusa
dentro la sepoltura degli animali – contava che la terra fosse pronta
a ricevere queste guance asciutte
sebbene queste fabbriche carnali
siano diramazioni di una luce
non nostra. Questo mondo che viene trascinato oltre se stesso
è oro fatto per i vostri occhi
con prodigi e visioni
e vanghe di sole. Contiene
il dialogo di due che si amano ancora
come ferro con ferro. La carità. Mentre un odore di deposizione.
 
Roma, 14-16 aprile 2011
 
Parla l’ulivo
 
Oso tentare Dio con la mia solitudine
nell’orto di Getsemani, perché quel figlio
oltrepassava tutta la solitudine umana
nella sottomissione
al padre, perché quel figlio sacrificato e speso faceva scomparire nel suo cuore le lame
della corteccia. Mentre voi dormivate
io raspavo le piante degli ulivi
imitavo la dura solitudine
corticale
dei vegetali, preparavo il mio corpo con l’esempio degli alberi, facevo del mio corpo
legno su legno
perché nessun lamento
disperdesse la mia unità di uomo
nel lamento del figlio abbandonato. Ecco.
Sono già solo, padre, io non posso subire più abbandono.
 
Roma, 4 novembre 2010
 
da Le Cose Vive
Davanti al morto
 
Sei la cosa più nuda della terra e insieme
la più indecifrabile.
Rilevo le tue tracce. L’abside delle orbite. Il catino pieno
di un male che passa
le dimensioni. Evidenzio
le reazioni del sangue affiorato
durante un’ascensione ora
ferma. Porpora, ocra, fasce
cremisi sottopelle. La vibrazione
lasciata a metà
sotto lo zigomo destro. Ma
compiuta, come certi pallori
dove insisteva l’osso scapolare.
 
Riconosco la tua perfezione.
Il peccato di superbia della fine. Ti riconosco
atto del futuro. Una pre
cognizione perfetta.
 
Esamino il tuo volto. Più nessuna tendenza.
L’altare immacolato della fronte alla fine
del pensiero. Richiuso. Esamino che corpo viene dopo
la tendenza a rinascere. Evidenzio che pure
rinascerai. Richiuso. Puro suono di cosa che si disfa. Pura
dissipazione. Una lanugine bianca
sulle corde. Le muffe
nelle pieghe vocali,
il calcagno bagnato di un’erba azzurrina
e la pace maggiore
nel guscio del cranio. Tutta la tua tendenza a dimenticare
ora
in atto. Evidenzio che tutto è diventato gioia
e tu
sei diventato la gioia
che volevi, quel non andarsene più.
 
Sei orazione infinita. Masso
calcareo. Solo la fine che ora sei. Solo la fine
è infinita. Solo la maschera della solitudine. Richiuso
il cerchio elementare
del serpente della separazione.
 
Così mi dissipo in tutti quelli che sono.
 
Roma, 8 agosto 2011

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